LA MONTAGNA-SPETTACOLO E’ UNA MERCE, L’ALPINISMO SEMPRE PIU’ UNA FORMA DI SFRUTTAMENTO E COLONIZZAZIONE

L’inquietante domanda, su “L’alpinismo come forma di colonialismo?” ormai non va nemmeno posta. Se pur scritto con il punto interrogativo (nel titolo) il mio intervento di un paio di anni fa aveva scatenato le ire della lobby di coloro che vivono di “Montagna”. O meglio: sfruttandone l’immagine spettacolare e mercificata.
Eventi successivi come la pandemia l’hanno resa superflua.
Perfino tra gli addetti ai lavori qualche mese fa si potevano cogliere  commenti critici – ma forse sarebbe il caso di passare decisamente al disgusto – per le vere e proprie cataste di bombole d’ossigeno abbandonate intorno ai campi base in Nepal (Everest, Dhaulagiri…). Almeno quattro a testa per centinaia di turisti-alpinisti e portatori (non chiamiamoli sempre sherpa per favore, è una etnia e non tutti si prestano a portare il fardello dell’uomo bianco) mentre a causa della pandemia gli ospedali erano saturi, nemmeno lontanamente in grado di gestire non dico le terapie intensive, ma perfino l’ordinaria amministrazione.
E intanto gli alpinisti infettati dal Covid-19, o temendo di esserlo, pretendevano e ottenevano di farsi evacuare con gli elicotteri delle agenzie private (anche grazie a false dichiarazioni o diagnosi di “edema polmonare da aria sottile” per usufruire delle assicurazioni).
Ma d’altra parte stupirsene sarebbe da ingenui. Questo è il mondo che anche la lobby dell’alpinismo variamente inteso, dai produttori di materiali tecnici alle agenzie commerciali (ma comprendente scrittori di montagna, promotori turistici, elicotteristi, eccetera) contribuisce a costruire e alimentare. Un bel giro d’affari, sia chiaro. Chiamiamolo businnes, capitalismo, società dello spettacolo o come vi pare, ma ormai (e non solo sul “tetto del mondo”) assume tutti i tratti di un moderno colonialismo. Per quanto riciclato e – malamente – camuffato.
Non che sull’altro versante le cose vadano meglio. La Cina soidisant comunista starebbe pianificando un inedito sfruttamento turistico-alpinistico delle montagne e l’estensione della rete 5G fino alle alte quote. Così in futuro anche gli alpinisti più social, occidentali e non, potranno restare collegati permanentemente e trasmettere in diretta i loro autoscatti (forma italica per selfie). Per poi magari, è accaduto di recente, vedere uno di questi personaggi sentenziare in televisione sulla necessità di lavarsi meno per non sprecare energia (invece di rinunciare all’elicottero per raggiungere più vette in minor tempo).

E il Pakistan (di cui mi occupavo in buona parte dell’intervento ricordando alcuni recuperi di alpinisti che evidentemente si erano spinti ben oltre le loro possibilità o semplicemente non avevano tenuto conto dei rischi di crolli nell’epoca del riscaldamento globale)?
E sarebbe interessante sapere cosa sta accadendo ora, sempre in Pakistan, dopo le devastanti alluvioni derivate dallo scioglimento dei ghiacciai.
Qui, notoriamente, l’utilizzo degli elicotteri appare più complicato in quanto sostanzialmente in mano all’esercito pakistano, che eventualmente (pagando in anticipo, sappiatevi regolare) li mette a disposizione tramite l’agenzia Askari (?!?) gestita comunque da ex militari di alto grado (quando non li stanno utilizzando per scaricare in mare dissidenti e oppositori, preferibilmente beluci, in puro stile argentino). Tra l’altro, gli elicotteri sarebbero autorizzati a volare non oltre i 6500 metri. Poi è il pilota a prendersi eventualmente la responsabilità.
Insomma, ripeto, restarsene a casa sarebbe il minimo.

Gianni Sartori

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