La parola “preesistente”, che si specchia davanti al padre, si fa carne

Sono stato profondamente colpito dalle vibranti note musicali dell’Oratorio di Hans Joseph Haydn (1732-1809), titolato “La Creazione”. Il grande musicista austriaco, fervente cristiano, s’ispira al libro della Genesi, al libro dei Salmi e al “Paradiso perduto” di Milton. E’ interessante ciò che scriveva Haydn durante gli anni in cui componeva “La Creazione”: “Non sono mai stato devoto come durante gli anni in cui lavoravo su “La Creazione”, mi mettevo in ginocchio ogni giorno per implorare Dio di darmi la forza necessaria per finire la mia opera”. L’Oratorio inizia con un solenne impeto orchestrale, in cui primeggia un titanico tambureggiare e lo stridio acuto dei corni, seguito da un delicato e leggero dei violini e, in crescendo, tutti gli strumenti musicali partecipano nel descrivere musicalmente del Caos e dell’atto creativo di Dio della luce, plasmando la massa informe e vuota e caotica della terra coperta dalle tenebre abissali. Il Prologo giovanneo 1:1-18 riprende il testo iniziale della Genesi, finalizzato a presentare la Parola “preesistente”, che “sta di fronte a Dio”, come Dio. La Parola è l’agente di Dio attraverso cui ogni cosa che esiste è chiamata all’esistenza dal nulla. L’intero Evangelo è letto alla luce di questa potente affermazione: la preesistente Parola s’incarna in Gesù Cristo. Tutto l’Evangelo ruota attorno a questa scandalosa dichiarazione: le parole e le opere di Gesù sono le parole e le opere di Dio. Il prologo enfatizza i temi essenziali che appaiono in tutto l’Evangelo: la preesistenza di Gesù e l’unione consustanziale con Dio, la venuta della luce in Gesù, il conflitto fra luce e tenebre la grazia e la verità in Gesù, il rifiuto di Gesù. Insomma, il Prologo funge da introduzione a tutto l’Evangelo. Oltre ad essere un testo di altissimo spessore biblico-teologico, è anche un testo di pregiata manifattura letteraria: l’Evangelista fa uso della struttura retorica del chiasmo (ossia la parte iniziale, vv.1-5 corrisponde con la parte finale, vv.16-18, la seconda parte, vv.6-8, corrisponde al v. 15, la terza parte, vv.9-11, corrisponde al v.14. All’interno di questa struttura chiastica s’innestano i vv. 12-13, autonomi, che sintatticamente esprimono la finalità cui tende l’irrompere di Dio nella storia umana: il dono della vita eterna a chi crede in Lui). E’ doveroso, inoltre, rendere comprensibile il significato filosofico-religioso della “Parola” (gr. Logos). Essa, sebbene possa essere estranea alla sensibilità comprensiva del lettore moderno, era molto familiare ai lettori sia Giudei sia Gentili. Essa richiama i concetti veterotestamentari riguardante la Parola creatrice e sostenitrice di Dio, la Parola annunciata dai Profeti, la personificazione giudaica della saggezza come l’agente di Dio. Il termine “Logos”, altresì, fa echeggiare le teorie stoiche del Logos come ragione divina, ordinatrice della Creazione. In aggiunta, fa riferimento anche agli scritti del filosofo giudeo Filone, in cui la parola “Logos” è usata per definire la mente di Dio, l’agente della Creazione e mediatore tra Dio e la Creazione. Infine, vi è un richiamo agli scritti gnostici, i quali esaltano un emissario celeste, che media fra il mondo materiale e quello spirituale.

La Parola “preesistente” (VV-1-5; 16-18) – Seguendo la struttura a chiasmo, la prima parte del prologo e i versetti finali fungono da apertura, che determina ciò che di seguito è definito. I versetti iniziali, “Nel principio era la Parola”, richiama l’inizio del primo capitolo di Genesi: “Nel principio l’Iddio creò i cieli e la terra (Gen 1:1) L’espressione “nel principio” indica un’esistenza fuori dal tempo e dallo spazio, ossia un’esistenza prima che l’universo fosse creato, prima che ogni cosa esistesse, ossia la Parola era presente e viva. La seconda espressione “La Parola era presso Dio”, significa l’intima relazione della Parola con Dio (la preposizione greca “pros” ha anche il significato di “orientamento verso”). Si può dire che la Parola era di fronte a Dio. La terza affermazione “la Parola era Dio” risalta la divinità stessa della Parola. La relazione della Parola con Dio e l’essenza divina della Parola stessa orienta il cristiano verso il Trinitarismo. In altre parole, ciò che era Dio, era anche la Parola (cfr. v2). Essa è l’origine di ogni cosa che esiste e, negativamente, tutto ciò che esiste non sarebbe venuto all’esistenza senza la Parola. Strumento creativo di Dio, la Parola è anche la Vita (cfr. v.4; Giov.14:6) diffonde la luce tra gli uomini. Ancora è coinvolto l’inno genesiaco della creazione, in cui prevale la bellezza della luce: tutto è orientato alla maestosità della Creazione, che è lo stampo di Dio, attraverso cui l’uomo è chiamato a porre mente (cfr. Rom 1:19-20). La luce primordiale che dirada le tenebre del caos, è la stessa luce che vuole dissolvere le tenebre e l’oscurità in cui vivono gli uomini con l’incarnazione della Parola. Siffatta sinistra oscurità non ha avuto il sopravvento sulla luce che storicamente è simboleggiata dalla feroce opposizione dei Giudei, della classe dirigente religiosa ebraica verso cui la luce-Cristo desiderava dissipare le loro tenebre morali e spirituali. Nell’organizzazione chiastica del Prologo da parte dell’Evangelista i vv.16-18 risaltano l’azione di grazia della Parola, che sostituisce quella legale mosaica. I testimoni oculari possono affermare che la grazia e la verità sono sopraggiunte a loro per mezzo di Gesù Cristo, l’eterna Parola, l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre, che è di fronte al Padre, ossia della stessa essenza divina del Padre, il cui compito è di far conoscere Dio, che è impenetrabile, insondabile, imperscrutabile alla mente umana e alla speculazione razionale dei Filosofi. Siamo di fronte all’espressione del carattere di Dio che è amore servizievole, si potrebbe definire l’azione di Dio come l’azione dell’Iddio servitore.

 Il Ministerio di Giovanni il Battista (1:6-7;15) – L’inno cristologico del Prologo giovanneo non è solo l’inno della Parola “fuori” dalle coordinate tempo-spazio, ma è l’inno alla Parola che è in procinto di entrare nella storia dell’umanità, che si auto delimita nel tempo e nello spazio: Giovanni è l’oracolo della Parola “auto” umiliata, che pur essendo Dio, si autolimita senza perdere la potenza divina. E’ il testimone di Colui che è prima di lui, sebbene egli sia venuto al mondo dopo di lui. La sua testimonianza prepara l’avvento della Grazia, che sovrasta ogni uomo che crede. E’ il battistrada della Parola, che diventa carne.

La Parola si fa carne (1:9-11,14) – Si è di fronte allo scandalo del Cristianesimo. Nessuna religione nel proprio sistema religioso e nei propri scritti contempla una siffatta “follia divina” dell’incarnazione della Divinità. Dio rimane trascendente. Ma il Cristianesimo predica l’Iddio trascendente, che si approssima all’uomo, divenendo egli stesso uomo, benché conservi l’essenza divina. Ecco il paradosso cristiano: l’Iddio eterno, la Parola, che sta di fronte a Dio, lascia la Sua gloria e si autolimita, incarnandosi, divenendo uomo, entrando nel mondo, che La Parola ha creato, e provando l’umiliazione del rifiuto. Ma i testimoni della Parola hanno contemplato la Sua gloria. Ecco un’espressione impegnativa: “Contemplare la gloria”, che in ebraico è la “Shekinah”, richiamando alla mente del cristiano l’evento dell’Esodo, in cui è piantata nel deserto la tenda di Convegno, dentro la quale è posto il Tabernacolo, ossia il luogo dove dimora l’Eterno. I testimoni dell’incarnazione di Dio hanno contemplato l’inabitazione di Dio nel cuore dell’umanità ossia nella vita e cultura del popolo ebraico, e, in generale, nell’intero Ecumene. L’amore e la fedeltà costituenti la Gloria di Dio, proclamata da Mosè, si trovano ora nella Parola incarnata: la grazia e la verità consistono nel porre ferma fiducia del cristiano alla Parola e alle azioni della Parola.

A COSA MIRA L’ETERNO NEL SACRIFICIO DELL’UNIGENITO? (1:12- 13) – E’ un testo autonomo all’interno del sistema chiastico dell’inno. In esso si coglie lo stile poetico ebraico del parallelismo (v.12) e rende comprensibile la funzione del Logos, che è entrato nel mondo, che Lui ha creato, cioè la Sua azione salvifica: tutti quelli che lo accolgono, che credono in Lui, ha dato il diritto di diventare Figli di Dio, la cui figliolanza esula da un’azione umana, ma si rivela come unica azione divina. E’ l’accoglienza della fede, che è il dono concesso ai credenti di diventare Figli di Dio. E’ la libera elezione di Dio con una funzione parenetica (cfr. 1^Giov. 3:10; 5:2). Il verbo greco usato è “gigomai”, che significa “divenire”. Ciò significa che il vivere la figliolanza divina dell’uomo che crede, non è uno stato che si acquisisce in maniera istantanea e per sempre, ma è sempre un progetto da realizzare. In altre parole “Sequela”. Il cristiano è già adesso figlio di Dio per grazia, ma deve diventare figlio allo stato adulto, con l’impegno a vivere continuamente come “figlio di Dio”. L’espressione “credere nel nome di qualcuno” implica il pensare che si ha fiducia, si affida a colui che porta quel nome. Nella nostra fattispecie è la persona di Gesù (cfr.1:17). Il presente del verbo greco “pisteuo” fa risaltare il carattere dinamico del processo di vivere la figliolanza divina: accogliere il Logos significa iniziare un cammino con Gesù, in cui il Logos ha preso dimora. L’essere generato da Dio non è un’opera umana, ma è l’azione rivoluzionaria dello Spirito Santo.

Dio si autorivela in Cristo – Il Prologo giovanneo è un appassionato leitmotiv, che trasporta il lettore o l’uditore all’interno di un paesaggio narrativo e discorsivo di un testo molto teologico, in cui prevale il paradosso della trascendenza di Dio nella sua dinamica trinitaria e la Sua immanenza nel mondo degli uomini, cui è rivolto un messaggio antitetico a quello che gli uomini sono abituati ad ascoltare attraverso la bocca e gli scritti dei filosofi, scrittori, letterati, scienziati, sociologi, senza che questo messaggio sia inabissato o sottovalutato, ma ascoltato e, comunque, rigorosamente considerato. Tuttavia, il linguaggio del Logos è un linguaggio, che travalica quello razionalista, positivista e postmodernista dei filosofi e degli scienziati, perché è un linguaggio non compreso dall’uomo naturale ma afferrato dall’uomo spirituale, rigenerato dalla potenza e dalla saggezza del Logos.

Paolo Brancé | Notiziecristiane.com

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