Cristiani, moderati, sciiti sono strozzati dalla violenza terrorista in Siria, Egitto, Kenya, Pakistan… Tale fiammata è il segno della profonda crisi dell’islam, che non ha ancora affrontato il discernimento del mondo moderno e preferisce rifugiarsi nell’islam del passato. Il mondo islamico deve riconoscere la connivenza con tale violenza. L’impegno dei cristiani per il dialogo con islam e modernità.
Beirut – La cronaca di questi giorni ci ha messo davanti a una nuova serie di attentati terroristi islamici: i due kamikaze nella chiesa di Tutti i Santi a Peshawar; il sequestro e le uccisioni nel centro commerciale di Nairobi; l’agonia di molti cristiani in Egitto; le minacce ai cristiani a Maaloula e in tutta la Siria…
Le primavere arabe, condotte insieme da cristiani e musulmani, avevano fatto sperare per un futuro migliore e una collaborazione per i diritti umani, la democrazia, la libertà religiosa. Invece sembra essere ritornati a qualche anno fa, durante l’occupazione americana e internazionale in Iraq, con esecuzioni, decapitazioni, autobombe perfino durante i servizi religiosi.
Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica
Nei fatti che abbiamo – Egitto, Pakistan, Kenya, Siria – il punto comune a tutti è il fenomeno del terrorismo e il fatto che sono tutti terroristi islamici. Come si spiega tutto ciò?
In qualche caso essi sono sunniti che attaccano sciiti; talvolta attaccano la polizia, che è il simbolo dell’ordine che essi vogliono distruggere; nella maggior parte dei casi, essi attaccano i cristiani. Questa loro psicologia merita di essere sottolineata. Essi sono terroristi pronti a rischiare la vita per dare la morte agli altri, senza alcuna spiegazione. Essi lo fanno contro innocenti, contro categorie viste come nemici: musulmani sciiti o ahmadi, ma più spesso contro i cristiani.
Tutte queste persone soffrono un disagio. In Somalia, da dove provengono gli Shabab, responsabili dell’eccidio a Nairobi, il problema è fra i musulmani (dato che vi è solo uno sparuto numero di cristiani), ma essi hanno esportato i problemi in Kenya, con la scusa che Nairobi aiuta il governo somalo a riprendere il controllo del Paese. La motivazione è politica, ma qualunque motivazione viene espressa, essa viene tradotta in violenza. E il peggio è che viene espressa come violenza fatta in nome dell’Islam.
Qual è la reazione dei musulmani?
Vale la pena anche valutare la reazione dei musulmani. In alcuni casi essi dicono: Questo è inaccettabile! Ma a cosa serve dire ciò? Che cosa si fa per fermare questi gruppi? Per rispondere a questa domanda occorre capire da dove viene la violenza. Di fatto, è la formazione mentale, l’educazione ricevuta, che spinge i terroristi alla violenza. Sostenuti da un dotto imam, che emette una fatwa (un giudizio giuridico), si abituano a usare di violenza contro chiunque non la pensa come loro.
Questo non è corretto: la religione dei terroristi è dichiarata, eccome! Essi si dichiarano islamici. Anzi, pretendono di essere i veri islamici, che applicano fedelmente la shari’a. Purtroppo, i musulmani moderati, quasi per una mania, cercano di annacquare tutto, allontanando le critiche all’Islam, dicendo che i terroristi “non hanno religione”, o “non sono veri musulmani, perché l’islam è una religione pacifica, l’islam è la religione del medio (dīn al-wasat) e non può essere estremista!”. Io vorrei anche credere loro, ma vorrei domandare: Cosa state facendo per combattere questo falso islam?
Ogni settimana ci sono nuovi gruppi fondamentalisti che nascono, ispirati dall’islam, retti dagli imam che li guidano e li appoggiano nell’usare la violenza contro i cristiani, o contro tale gruppo musulmano, o contro i miscredenti (kuffār).
La maggioranza dei musulmani dice: “Questo non è vero islam!” Ma allora occorre lottare contro questa falsità, occorre dare indicazioni precise, chiedere alla polizia di fermare questi massacri.
I terroristi sono guidati da veri e dotti imam fanatici
A Nairobi, lo sheikh che guida il gruppo degli Shebab somali, autori dell’attacco, è sheikh Ali Mahmoud Raji, loro portavoce. Egli ha pubblicato questo messaggio: “Autorizziamo i nostri mujāhedīn ad uccidere i prigionieri in caso di attacco. I cristiani che stanno muovendo verso i nostri uomini, abbiano pietà degli ostaggi all’interno dell’edificio”.
Già l’uso del termine “mujāhedīn” mostra l’origine islamica: il mujaheddin è colui che pratica il jihad, come è riportato nel Corano e nelle hadith.
La tattica che hanno usato è anch’essa islamica. Ad un certo punto hanno fatto uscire dall’edificio i musulmani. Per distinguere gli uni dagli altri, hanno chiesto a tutti: Conosci il nome della madre del Profeta? (Āmina). Chi ha risposto giusto ha potuto uscire e salvarsi; gli altri sono rimasti ostaggi e diversi sono stati uccisi.
È un fanatismo islamico sotto varie forme. Contro questo devono protestare anzitutto i musulmani, e non solo a parole. Alla base di questo atteggiamento dei terroristi vi è l’insegnamento di alcuni imam che li formano alle discipline islamiche, li guidano, li sostengono, li educano fino a dare loro l’ordine di uccidere.
Finché non si dirà che questo atteggiamento è responsabilità dell’islam, e che coloro che tacciono sono in qualche modo conniventi, non servirà a nulla dire che non si è d’accordo con la violenza, anche se poi si va a consolare i familiari degli uccisi cristiani.
Queste considerazioni valgono per il Pakistan, il Kenya, l’Egitto, la Siria.
La tendenza islamista sta prendendo il potere ovunque
In alcuni di questi Paesi, soprattutto l’Egitto e la Tunisia, vi era stato uno spirito nuovo portato dalle primavere arabe: esse hanno fatto emergere una nuova visione, dei diritti umani, della cittadinanza comune per cristiani e musulmani, mettendo la religione in secondo piano, in stile laico aperto a tutti e non secolarista. Ma questo discorso è durato solo circa tre mesi. Dopo, ovunque sono subentrati i gruppi islamici: in Egitto i Fratelli musulmani e i salafiti; in Siria tutte le bande fondamentaliste dall’estero, pagate dai Paesi arabi del Golfo, perfino occidentali convertiti; in Tunisia i salafiti e i Fratelli musulmani (sotto un altro nome).
C’è nel mondo musulmano un desiderio di vera libertà, di democrazia, di un islam aperto al mondo di oggi; ma non c’è una presa di coscienza abbastanza forte per fare da contrappeso alla restaurazione islamista. Dappertutto la tendenza islamista ha preso il potere, perché i gruppi sono ben organizzati e sanno operare sulle folle: in Tunisia, in Egitto (anche se lo sta perdendo), in Libia, in Siria, anche se ancora non si sa…
Il mondo musulmano è in profonda crisi esistenziale e di civiltà
La questione è che l’Islam è in profonda crisi esistenziale e di civiltà. Il mondo musulmano si presenta oggi come un blocco, come una Umma che non conosce le frontiere geografiche e politiche, e che si muove da una frontiera all’altra per diffondere le proprie idee, la propria visione dell’islam e per combattere in accordo con questa visione. Non è così per il mondo cristiano, suddiviso per caratteri nazionali, culturali, ecc..
I musulmani si sentono politicamente deboli, militarmente scarsi, culturalmente poveri, scientificamente deboli o ridotti al lumicino. Questo malessere è ancora più pesante quando essi pensano al loro passato durante i secoli VII – XIII. Era un impero potente, aperto a tante culture, il più progredito dell’Europa. Era il grande periodo del Rinascimento, il nostro illuminismo!
Per spiegare questo gran passo indietro la spiegazione dei fondamentalisti musulmani è semplice e sembra convincente. Si può riassumere così: finché abbiamo seguito fedelmente tutto ciò che era prescritto nel Corano e tutta la tradizione del nostro profeta, eravamo i migliori in tutto; più ci siamo allontanati da questa tradizione, più siamo divenuti deboli. Dunque, la soluzione è chiara: tornare al VII secolo! Quest’analisi semplice convince molti musulmani.
E siccome il Corano dice di Muhammad: “In effetti, voi avete nel Messaggero di Dio un eccellente modello da seguire, per chiunque spera in Dio e nel Giorno ultimo, e invoca Dio con insistenza” (Sura 33, delle Fazioni alleate, Al-Ahzâb, v. 21), l’imitazione del Profeta dell’islam diviene un obbligo. Ora, egli ha combattuto i miscredenti con tutti i mezzi, compresi la guerra (secondo la miglior tradizione, egli avrebbe fatto più di sessanta razzie (ghazawāt) in meno di dieci anni!). Il ritorno alle origini rilancia dunque l’ideale del jihād (il combattimento sulla via di Dio).
Infine, con la manna del petrolio, è diventato facile procurarsi le armi e mantenere gruppi di combattenti (mujāhidīn). Coi soldi essi prendono dall’occidente le armi, e lo vediamo in Siria, dove affluiscono armi provenienti dall’Europa, dagli Usa, dall’Arabia, dal Qatar. I soldi servono alla violenza, in un circolo vizioso che si chiude su se stesso senza produrre una via d’uscita. Uccidono qualche migliaio di cristiani, poi – soprattutto – ammazzano a frotte i loro correligionari.
Il vero problema è il confronto dell’islam con la modernità
Ma la violenza non porta ad alcuna soluzione perché il problema urgente è confrontare l’islam con la modernità, per discernere quali cose nell’islam devono essere riviste e quali cose nella modernità vanno accettate o rifiutate. È un discernimento sia di sé come musulmano, sia sulla civiltà che viene dal di fuori. Tale discernimento serve per discriminare fra positivo e negativo, iniziando poi a costruire sul positivo.
Questo è un discorso semplice, ma difficilissimo, e non lo si fa. Allora si continua la lotta fra gli stessi musulmani, fra coloro che vogliono l’apertura al moderno a tutti i costi, prendendo tutto, e fra coloro che combattono in modo totale il moderno, rifiutandolo in blocco come ateo, come neo-paganesimo (la nuova jāhiliyya), ispirandosi a Maometto che ha combattuto contro il paganesimo (la jāhiliyya). E’ la teoria di Sayyid Qutb, l’eminente membro e pensatore dei Fratelli musulmani, sviluppata nel suo libro Maʿālim fī al-ţarīq (“Pietre miliari sulla strada”), scritto in prigione negli anni 1965-66, poco prima di essere giustiziato il 29 agosto 1966 con l’impiccagione.
Questo islam integralista, vede la modernità proprio come un neo-paganesimo. Essi sono convinti che vinceranno se combattono il neopaganesimo che è rappresentato dall’occidente, dai cristiani visti come emissari dell’occidente[1], e dai musulmani liberali.
Purtroppo, non si vedono molti musulmani che facciano questa analisi, anche se le considerazioni che riassumo qui sono presenti in alcuni autori musulmani. Ma su oltre un miliardo di fedeli dell’islam, anche un migliaio di studiosi illuminati rimane un piccolo numero. La Tunisia, per 50 anni, sotto Bourghiba (che fu presidente dal 1957 al 1987), ha avuto un approccio critico che è stato positivo, con un’evoluzione verso la modernità senza creare terrorismo.
Purtroppo, questa modernità si attua quasi sempre con una dittatura. Non si riesce a proporre una modernità senza dittatura. Questo perché la popolazione, non avendo camminato con gli intellettuali, si vede imporre stili di vita che essi non capiscono. Da parte loro, i presidenti, spesso dittatori, si vedono costretti a imporre un metodo di modernità alle masse, che invece avrebbero necessità di essere educate.
In Siria e Iraq è avvenuto quasi lo stesso con i membri del partito Baath (o Baas), in Siria dal 1963 al 1966, poi dal 1970 ad oggi; in Irak dal 1968 al 2003: essi avevano introdotto alcune riforme importanti in campo educativo e sociale, ma sempre con la mano forte della dittatura. Il fondatore, Michel Aflak, un cristiano ortodosso, fa della laicità un pilastro del partito, riconoscendo però il ruolo preponderante dell’islam nella “nazione” araba. Per questo, quando si è cominciato a combattere la dittatura, tutto è andato all’aria. Eliminando la dittatura, rimane solo l’islamismo, nemico della modernità (di provenienza occidentale) e della laicità.
Per questo sarebbe necessario che università come Al Azhar, o altre università islamiche in Tunisia, in Marocco, o fuori del mondo arabo, come in Indonesia o in Malaysia, facessero questo lavoro di discernimento nei confronti dell’islam e della modernità.
Tale lavoro, iniziato nel 1870 circa, è durato per 60 anni, fino al 1930. Vi sono testi di grandi pensatori, i cui libri erano una volta vietati, e che hanno fatto questi passi. Un esempio: paragoniamo le fatwa di un grande personaggio di Al Azhar, Mohammed Abdo (morto nel 1905), con le fatwa che vengono emesse adesso, sugli stessi argomenti: le sue fatwa sono molto più intelligenti e aperte alla realtà, da vero maestro dell’islam.
Nel mondo islamico attuale, la gente o si sottomette all’islam dominante, o tace, o fugge in occidente.
Noi cristiani abbiamo già sperimentato questo travaglio fra fede e modernità, fede e ragione. Per questo possiamo aiutare i nostri fratelli di fede musulmana, spingendoli in questo lavoro, per aiutare l’islam a rispondere ai bisogni odierni dei loro Paesi.
Conciliare il pensiero classico dell’islam con il pensiero moderno è la vera risposta al fanatismo dei terroristi.
Invece, molto mondo occidentale pensa di aiutare il mondo islamico con gli aiuti militari, o i rapporti commerciali che esso intesse con i Paesi del Medio oriente: questi rapporti sono dettati solo dai rispettivi interessi nazionali e non portano ad alcuna evoluzione. Invece, c’è bisogno di un ripensamento totale dell’Islam per il mondo contemporaneo.
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook