La ‘santa inquisizione’ islamica: la vicenda dello studioso algerino Saïd Djabelkhir

Nel mondo musulmano la libertà di espressione sta morendo. La caccia a quanti vogliono deviare dal pensiero unico. Il jihadismo giudiziario basato sulla Costituzione e leggi liberticide e i “folli di Allah” nella repressione del dissenso. L’impossibilità di sottoporre l’islam a “ragione interrogativa”.

Algeri (AsiaNews) – Un anno fa ho scritto un articolo intitolato “La libertà d’espressione sta morendo, sotto i colpi dell’Inquisizione islamista” (1) nel quale denunciavo la pressione che subiscono gli intellettuali, i pensatori e i cittadini che osano opporsi alla visione maggioritaria dell’islam e dell’islamismo, o che osano offrire uno sguardo diverso, indipendentemente dal pensiero dominante. La libertà di espressione, diciamolo senza giri di parole, sta morendo nel mondo musulmano.

Niente si può dire in modo libero, in maniera più o meno implicita a ciascuno è detto di non deviare dal pensiero unico, e dato che questo modo di pensare è maggioritario, ogni forma di ribellione è vista come un predicare nel deserto o, cosa ancora più grave, passibile degli strali dell’inquisizione. E quando si parla di religione, le pressioni si moltiplicano, si accentuano e il dibattito diventa se non impossibile, quantomeno molto difficile da far avanzare, fagocitato dal pensiero religioso e dai servizi statali che gli hanno giurato fedeltà.

Detto in altre parole, mettere la museruola alle voci che la pensano in modo diverso o critiche agli occhi della religione, appare un modo di agire equiparabile al “jihadismo giudiziario”. In altre parole, citare in giudizio una persona i cui detti, idee e opinioni criticano, smascherano e demistificano la natura violenta dei seguaci di una religione che, nonostante tutto, vuole essere una religione di pace. La quale, tuttavia, mira a mettere la museruola e a far tacere i suoi critici.

“Jihadismo giudiziario”: siete meravigliati di conoscere la sua esistenza? Questa forma di “jihad” non esiste solo all’atto pratico, ma è anche avallata da diversi – per non dire tutti – gli Stati musulmani, fra i quali l’Algeria. Quest’ultima si fonda sulla Costituzione e sulle leggi liberticide istituzionalizzate (2) e porge su un piatto di argento ai “folli di Allah” la possibilità di zittire per mezzo giudiziario le voci critiche, gli intellettuali, i pensatori e gli islamologi che contestualizzano le scienze umane e sociali nell’interpretazione del testo coranico con l’obiettivo di modernizzare l’islam. E di liberare gli spiriti del dogma favoriti dal tradizionalismo e dall’islamismo come ideologia.

“I folli di Allah” sono gli adepti dell’interpretazione letterale dei testi religiosi e della pratica settaria e rigorista dell’islam. Essi non sono necessariamente islamisti, ma dei tradizionalisti, perché il loro progetto è di islamizzare la società strumentalizzando la religione, usandola in particolare come baluardo contro la modernità in movimento, o come argine e controcorrente rispetto all’espansione inerente al progresso potenziale della società algerina, e questo attraverso la propagazione del “timore di Allah”. Una paura capace di paralizzare gli spiriti e annientare ogni desiderio di emancipazione, e quindi manipolare la società non solo per conformarsi a quella che chiamano “la legge di Allah”, ma anche per sottoporli al governatore di turno: “Il messaggero di Allah ci ha chiamati e noi gli abbiamo dato fedeltà. Egli ha preso il nostro giuramento, che diceva che dovevamo ascoltare e obbedire, in ciò che amiamo così come in ciò che ci dispiace; nelle difficoltà come nell’agio e anche se ci concediamo privilegi in questa vita che vanno a nostro discapito, senza contestare il comando con chi lo detiene. […] “Ad eccezione del caso in cui vediate un Koufr (chiari segni di miscredenza), di fronte al quale voi abbiate una prova proveniente da Allah” (3).

Il potere algerino ha giocato la carta dell’islam moderato, ma ibrido – tollerante e intollerante allo stesso tempo – da quando Bouteflika è salito al potere nel 1999. Lo ha fatto per indebolire i sostenitori del “jihad militare”, in particolare il sanguinario Fronte della Salvezza Islamica. Per fare questo, lo Stato ha favorito due versioni contraddittorie dell’islam, in particolare il wahhabismo – salafismo e sufismo – corrente ascetica e mistica dell’islam, che mira al puro amore di Dio. Tuttavia, le due correnti sono unanimi quando si parla di violenza, entrambe la vietano. Quindi entrambi hanno agito da freno al movimento islamista – i Fratelli Musulmani e il FIS che hanno un progetto politico molto noto – sostenitore della militanza armata. Tuttavia, lo Stato aveva un altro obiettivo, garantire la sua sostenibilità attraverso il dogma pro-potere del wahhabismo e di un certo sufismo “politicizzato” che con il loro discorso mantiene il cittadino nella sonnolenza e nel torpore intellettuale. Per dare più credibilità oltre che forza alle sue forze oscurantiste, lo Stato istituzionalizza una legge liberticida, il famoso articolo 144 bis 2: “È punito con la reclusione da tre (3) a cinque (5) anni e una multa da cinquantamila (50.000) DA a centomila (100.000) DA, o solo una di queste due pene, chiunque offenda il profeta (pace e salvezza su di lui) e i messaggeri di Dio o denigra il dogma o i precetti dell’islam, sia mediante scrittura, disegno, dichiarazione o qualsiasi altro mezzo” contraddittorio con la Carta internazionale dei diritti umani.

Allo stesso tempo, lo scioglimento della FIS all’inizio degli anni novanta ha permesso alle autorità di contrastare l’ascesa del movimento islamista, o in altri termini, dell’islam politico emarginando tutti i partiti islamisti creati dopo il FIS come l’MSP. La maggior parte dei salafiti quietisti che occupano la scena interna, compresi gli imam, rimangono molto lontani dalla politica. Il loro unico obiettivo è mantenere un certo conservatorismo sociale sui costumi e non sulle istituzioni politiche, senza però cadere nell’estremismo religioso come il decennio nero che ha causato la morte di quasi 500mila algerini. Possiamo concludere da questo fatto che i decisori algerini preferirebbero deviare la morsa religiosa sulla vita politica a beneficio della vita sociale, al fine di contenere il loro potere in modo durevole, anche se ciò significa sostenere questa strategia con testi giuridici contrari alla volontà di “emancipazione e apertura” promossa da Bouteflika dal 1999?

Se l’islamismo è maledetto dallo Stato, il conservatorismo è più che promosso. Gode ​​di un quadro ufficiale e istituzionale, è tutelato e diffuso dagli imam della Repubblica, da programmi scolastici approvati e da discorsi religiosi televisivi. È attuato da rappresentanti dell’autorità pubblica, dei media, di vari ministeri e della magistratura. In altre parole, si tratta di islam ufficiale, come prevede l’articolo 2 della Costituzione algerina “L’islam è la religione di Stato” (4) e non di “islamo-jihadismo”, poiché quest’ultimo è ufficialmente bandito. Quindi l’onestà intellettuale e il desiderio di vedere l’Algeria, così come il mondo musulmano in uno stato migliore di quello che è oggi, mi impongono di chiamare il male con il suo nome (lontano dalla paura di essere un giorno oggetto di una fatwa): si tratta della inquisizione islamica e non dell’inquisizione islamista.

Per giustificare l’etichetta di “inquisizione islamista”, intellettuali e giornalisti accusano Ibn Taymiya e Mohamed Ibn Abdelwahhab di essere la fonte del terrorismo islamista. Tuttavia, mi chiedo se queste accuse siano basate su una mancanza di comprensione dell’argomento o sul desiderio di purificare l’islam e di renderlo una religione immacolata? L’inquisizione islamica esiste fin dalla nascita dell’islam ed è sempre stata praticata contro chi ha tesi diverse da quelle dominanti.  Diventa quindi essenziale e urgente de-costruire il mito di una religione “razionale e pacifica” e questo è il compito che si sono dati gli intellettuali contemporanei, come Mohamed Abdou, Mohamed Arkoun, Sayyed Al-Qimni, Hassan Farhan al-Maliki, Mohamed Shahrour, essi stessi oggetto di questa inquisizione. Una delle prime delle sue forme è emersa durante le guerre di Ridda (5) guidate dal primo califfo (6). Anche coloro che sono considerati i più “razionali e pacifici”, in questo caso i mu’taziliti, durante il loro confronto con l’ortodossia sunnita tra l’833 e l’848 volevano imporre con la forza le loro tesi sotto il regno del califfo Al Ma ‘mun e hanno perseguitato gli studiosi sunniti (7). E a loro volta finirono per essere perseguitati e uccisi!

La storia musulmana è ciclica, si ripete ancora e ancora. Nel ventunesimo secolo intellettuali, islamologi, pensatori, attivisti laici vengono perseguitati per aver attaccato l’islam. Alcuni sono stati imprigionati, come Islam Bouhayri in Egitto e Hassane Ferhane Al Maliki in Arabia Saudita, altri braccati ed esiliati come Hamed Abdel-Samad e quello che era Mohammed Arkoun. Le loro opere sono proibite, come nel caso di Mohammed Shahrour. Scienziati che erano stati relegati allo status di “innovatori”, mentre ciarlatani hanno goduto dello status di “studiosi”. Vale a dire, l’oscurantismo e tutto ciò che alimenta lo spirito estremista e incoraggia la sacra ignoranza.

Qualsiasi intellettuale con un discorso razionale e critico nei confronti del pensiero religioso unico e dominante – sunnita – viene assicurato alla giustizia per “aver attaccato l’Islam”. È ciò che sta attualmente affrontando l’islamologo algerino Saïd Djabelkhir. Questo ricercatore sul sufismo comparirà il 25 febbraio davanti al tribunale Sidi M’hemed. Una denuncia accettata da suddetta corte è stata presentata contro di lui da un certo professore universitario per “disprezzo dell’islam, violazione e derisione degli autentici hadith della Sunnah del Profeta Maometto, il pilastro dell’Hajj (pellegrinaggio) e il sacrificio rituale delle pecore nell’Eid”. Da questo dobbiamo capire che il querelante, così come i suoi avvocati, gli rimproverano il suo desiderio di sottoporre l’islam a “ragione interrogativa” e a una domanda costante e critica per poter portare i musulmani, vittime del dogmatismo, alla luce della conoscenza.

Tuttavia, tante domande possono essere poste in relazione a questo processo. Ad esempio, chi rappresenterà “Allah” tra il pubblico? Saïd Djabelkhir è davvero contro “Allah” o è un avversario di coloro che diffondono, con la forza della legge, mediante la via della scuola e della moschea una pericolosa percezione di Allah che consiste nel presentare una persona diversa come nemica di Allah? Come può un ricercatore essere assicurato alla giustizia per i risultati della sua ricerca? La ricerca non significa portare qualcosa di nuovo, qualcosa in più, di inedito? In altre parole, quando le guardie del tempio si sentono minacciate, si concedono tutte le forme di jihad.

http://www.asianews.it/notizie-it/La-santa-inquisizione-islamica:-la-vicenda-dello-studioso-algerino-Sa%C3%AFd-Djabelkhir-52374.html

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