La storia di Cecilia, quando l’aborto è eutanasia

Attualmente l’argomento eutanasia è molto di moda e preoccupa parte della nostra società per la liberalizzazione di questo gesto definitivo.

Lavorando al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli mi sono trovata più volte a dovermi confrontare con un altro tipo di eutanasia: la “dolce morte” da somministrare a feti – che io chiamo piccoli bimbi – che mostrano gravi anomalie nell’esame praticato al quinto mese: l’ecografia morfologica. Infatti questo tipo di indagine minuziosa prende in considerazione tutti i vari organi per verificarne la funzionalità e la dimensione.

Frequentemente è proprio questa, tra le diagnosi prenatali, quella che può indurre a interrompere la gravidanza perché, a differenza dell’amiocentesi praticata un mese prima e che dà solo la mappa cromosomica, questo tipo di ecografia va ad esplorare tutta l’anatomia del feto. In certe occasioni è attraverso quest’esame clinico che vengono rilevate patologie gravi – ad esempio l’anencefalia – che inducono la decisione di aborto procurato. E’ dunque un interrompere la Vita del bambino perché malato e in condizioni che minano la sua esistenza.

Spesso, se lasciati continuare la loro crescita nel ventre materno, questi bambini hanno vita molto breve e addirittura muoiono sul nascere. Perché dunque proseguire una gravidanza che produrrà questi esiti? Anche illustri moralisti accettano questo aborto che dalla legge 194 viene chiamato terapeutico. La domanda è: terapeutico per chi? Certo, questi piccolini non possono essere curati in nessun modo e l’aggettivo “terapeutico” va a sostenere la salute fisica o psichica della donna.

Ho seguito personalmente alcune di queste gravidanze così particolari. Le madri sentono muovere il proprio figlio dentro di sé, gli parlano, si accarezzano la pancia e credono nel miracolo. Il quale solitamente non avviene.

La cosa che continuerò per sempre a ricordare è la serenità indotta dal non aver interrotto la gestazione. Chi se non la madre vive cuore a cuore col proprio figlio, soprattutto se malato? Le madri coraggiose che ho conosciuto sono arrivate al momento del parto con atteggiamento accogliente e disponibile ad accettare momenti gravi. Cecilia, per esempio, è morta nascendo e la sua mamma, che aveva continuato a coccolarla durante la gestazione soprattutto negli ultimi mesi, se l’è messa sul cuore tenendola stretta ancora per un po’. Mi ha detto poi: “Avrei voluto averti vicina e mostrarti la mia serenità in questi momenti drammatici. Io non ho usato violenza, né alla mia bimba né a madre natura, l’ho accompagnata maternamente durante la sua morte essendo consapevole di aver assecondato il suo destino”.

Dopo tre settimane da questo evento c’è stata una messa per commemorare questa piccola bimba, ma anche per far sentire vicinanza e solidarietà ai suoi genitori. La chiesa, gremita, sembrava un salone delle feste dove si sprigionava una positività che veniva dispensata a tutti i partecipanti. Le parole di questa mamma dolce sono state: “Sono contenta. Non ho tolto io la vita alla mia bambina. So che lei ha sentito le mie cure e io porterò nel cuore le sue capriole che sembravano tanto naturali”.

La Vita è Vita sempre e interromperla, anche in situazioni di grave patologia, viene vissuto come aggressione violenta. Lasciamo Vita alla Vita.

Paola Bonzi | Lanuovabq.it

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