La testimonianza: «Dalla droga a San Patrignano, così mi sono salvata e voglio salvare i giovani di oggi»

Con la conclusione anticipata della legislatura il progetto di legge sulla coltivazione domiciliare della cannabis è decaduto. Il rischio di vedere una sua legalizzazione, in futuro, non è però passato, così come non passano i rischi e i pericoli di chi fa uso di sostanze stupefacenti e droghe di ogni tipo. Per questo il tema rimane sempre attuale e urgente rimane la necessità di testimoniare il più possibile quanto le droghe possano far male. Proprio una testimonianza di arriva da Alessandra Pedini, 59 anni, un passato da ospite, poi da operatrice nella Comunità di San Patrignano. L’esperienza a San Patrignano le ha salvato la vita, racconta la Pedini a Pro Vita & Famiglia, aggiungendo che la figura del fondatore Vincenzo Muccioli è stata per troppi anni incompresa e calunniata.

Alessandra Pedini, la sua gioventù è stata segnata dalla droga. Ci vuole raccontare in sintesi la sua storia?

«Intorno ai miei 18 anni – siamo nei primi anni ’80 – si era ormai consolidato quel processo di liberalizzazione dei costumi e di superamento di tutti i riferimenti etici precedenti. In virtù di questo, tutto era concesso e tutti erano liberi di “fare esperienza”. Per alcuni poteva essere la noia, per altri il disagio, nel mio caso mi aveva spinto la ricerca di emozioni che è propria dei giovani. Io ho ricevuto un’educazione cattolica e ho studiato dalle suore fino alle medie. Il mondo che ho incontrato in seguito mi aveva disorientato molto e, in questo disorientamento, non c’è stato nessuno che mi abbia aiutato nel ritornare sui miei passi con sicurezza. Oltretutto, nel giro di amici che frequentavo a Pesaro, già c’era chi faceva uso di droghe: a un certo momento anch’io ho ceduto, iniziando proprio con la cannabis».

In seguito, come si è evoluta la sua vita?

«Per me, come per altri miei coetanei, quello che era iniziato come divertimento si era evoluto nella dipendenza. Eppure, finita la scuola, al momento delle prime esperienze lavorative, mi sentivo realizzata. In fondo mi era stata concessa molta libertà. Prima tentai di aprire una scuola di surf all’Isola del Giglio, poi sono diventata estetista e truccatrice, lavorando al Rossini Opera Festival e, in seguito, anche alla Fenice di Venezia. Anche in quegli ambienti circolava molta droga: chi faceva uso di cannabis, chi di cocaina, chi di eroina… Mi sentivo come all’interno di un circuito in cui tutto ciò era normale».

Quand’è arrivato, invece, il momento della redenzione?

«Tutto è cambiato quando sono rimasta incinta del mio primo figlio, che oggi ha trent’anni. Se non avessi avuto mio figlio, non avrei avuto motivi per cercare la mia salvezza. Per me si aprirono le porte di San Patrignano, l’unica comunità che accoglieva anche donne incinte. Non era questa l’unica differenza: in altre comunità, ti facevano usare il metadone, dicendo che era per disintossicarti, ma nella realtà non era così. L’impatto con San Patrignano non fu affatto facile: all’inizio la mia fu una permanenza coercitiva: mi tennero un mese dentro una stanza, assieme a delle persone che mi facevano da “angeli custodi” e che, invece di usare violenza su di me, fermavano la violenza che usavo contro di me, perché comunque il richiamo della droga era ancora molto forte. Il metodo della permanenza coercitiva è lo stesso che è stato strumentalizzato da una certa stampa per gettare fango su Vincenzo Muccioli. In realtà, lui aveva compreso cosa c’era dietro la droga e aveva compreso che il giovane andava salvato. Io stessa sono stata salvata».

Una volta completato il recupero, lei è rimasta a San Patrignano come operatrice. Che tipo di esperienza è stata?

«Mi fu detto che ero pronta ad andare. Io ho voluto restare, per far sì che altre persone potessero ricevere lo stesso aiuto e lo stesso sostegno che avevo avuto io per uscire dalla droga. Ho trascorso dodici anni come educatrice nel reparto minorile femminile, per restituire il beneficio ricevuto per la mia vita e per il mio futuro. Nel frattempo, sempre in comunità, ho conosciuto mio marito, che lavora a San Patrignano da ormai 35 anni. Da lui ho avuto altri due figli, l’ultima dei quali ha avuto anche lei due bimbi e oggi vive a Treviso. Dopo dodici anni, ho scelto di uscire dalla comunità (attualmente faccio la receptionist in uno studio dentistico), per dedicarmi di più alla mia famiglia, proprio perché, come ci insegnava Muccioli, per San Patrignano devi metterti a disposizione “25 ore su 24”».

In base all’esperienza sua e di suo marito a San Patrignano, come ritiene si sia evoluto il problema della tossicodipendenza in questi ultimi trent’anni?

«La cannabis in particolare è una sorta di surrogato che alcuni utilizzano per sostenere il proprio disagio interiore, sentimentale, emotivo e familiare, evitando di affrontare i sacrifici, le fatiche e i disagi che tutti viviamo. Oggi, purtroppo, si è molto abbassata l’età media del primo consumo di cannabis, a San Patrignano entrano ragazzi di 14-15 anni».

Qual è, a suo avviso, il miglior modo per contrastare questo fenomeno?

«Lo si può contrastare con logiche scientifiche: è infatti possibile certificare medicalmente le lesioni cerebrali che la cannabis infligge a chi la usa. La cannabis procura anche allucinazioni, quindi non si venga assolutamente a dire che è curativa».

Cosa risponde a chi fa distinzioni tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”?

«Le droghe qualificate come “leggere” e quelle qualificate come “pesanti” sono sinergiche. Ciò che spesso spinge il giovane al primo approccio con la cannabis è una condizione di disagio. L’assunzione alleggerisce apparentemente ogni situazione di impegno e di responsabilità e spinge alla continua ricerca di questa sostanza. In realtà, la cannabis non produce alcuna condizione di benessere. Esiste forse qualche prestazione che può essere migliorata dall’uso della cannabis? Al contrario, si possono causare molti danni a se stessi e agli altri: proviamo a pensare a cosa può succedere ad uno scuolabus guidato da un autista sotto l’effetto di quelle sostanze…».

https://www.provitaefamiglia.it/blog/la-testimonianza-dalla-droga-a-san-patrignano-cosi-mi-sono-salvata-e-voglio-salvare-i-giovani-di-oggi

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