L’apostolo delle lacrime. Lezioni dal gran dolore di Paolo

All’inizio di Romani 9-11 Paolo ci dice di essere triste. Davvero triste. “Dico la verità in Cristo, non mento, la mia coscienza lo conferma attraverso lo Spirito Santo, ho grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore… per il bene dei miei fratelli… cioè gli Israeliti” (Romani 9:1-4 NIV). Paolo è così triste che non finisce il suo pensiero e non ci dice cosa c’è che non va in Israele. Per quello dobbiamo aspettare un intero capitolo.

Scopriamo che molti in Israele avevano rifiutato Gesù, il loro Messia atteso da tempo, e di conseguenza non erano stati “salvati” (Romani 10:1). Questa realtà non solo rendeva triste Paolo, ma sollevava anche difficili domande su Dio. L’incredulità di Israele significava che Dio aveva rifiutato il suo popolo, o, peggio, non era riuscito a mantenere le sue promesse (Romani 9:6; 11:1)? E se Dio poteva rifiutare il suo popolo e non mantenere le sue promesse, non era questa una notizia terribile per tutti, non solo per Israele, ma anche per i gentili?

Il suo segreto

Per rispondere a queste domande, Paolo rivela un segreto nascosto nella Bibbia  e rivelato solo alla venuta di Gesù: Dio avrebbe salvato Israele e mantenuto la sua parola, ma lo avrebbe fatto in un modo sorprendente.

In primo luogo avrebbe ridotto Israele credente a un piccolo residuo. È vero che fin dall’inizio non tutti quelli che erano d’Israele erano Israele (Romani 9:6-13), ma fu solo più tardi, durante gli esili assiro e babilonese verso la fine dell’Antico Testamento, che Dio ridusse Israele fedele a un piccolo residuo (Romani 9:27-29). E, sorprendentemente, questo stato di cose non cambiò nemmeno quando arrivò il Messia, il Salvatore di Israele (Romani 9:30-33; 11:7-10). Come disse l’apostolo Giovanni: il Messia “venne tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero” (Giovanni 1:11 NIV).

In secondo luogo, Dio avrebbe usato l’incredulità di Israele per fare spazio alla salvezza dei gentili (Romani 11:28, 30). Uno spazio sorprendente. Tutti si aspettavano che un giorno i gentili si sarebbero uniti a Israele, ma nessuno prevedeva che sarebbero diventati Israele. Paolo ci dice, tuttavia, che la salvezza dei gentili avrebbe adempiuto le promesse dell’Antico Testamento sulla loro stessa salvezza (Romani 10:19, 20; vedi anche 4:17; 15:9-12) e sulla salvezza di Israele (Romani 9:25, 26). Paolo non chiama mai esplicitamente Israele “i gentili” convertiti e riserva un posto per l’Israele “naturale” o etnico (Romani 11:17-24). Ma quando applica le promesse di Israele ai gentili, ci mostra che la linea di demarcazione tra i rami “selvaggi” e quelli “naturali” nella chiesa è più difficile da vedere di quanto chicchessia avrebbe immaginato.

Terzo, Dio avrebbe usato la salvezza dei gentili per attirare l’attenzione di Israele. La sorprendente salvezza dei gentili avrebbe provocato prima l’invidia di Israele e poi la loro salvezza (Romani 11:11, 12, 15). Questo era uno dei motivi per cui Paolo condivideva Gesù così instancabilmente con i gentili. Sperava che il suo successo come “apostolo dei gentili” potesse portare alla salvezza di Israele. Certo, Paolo sapeva di non poter provocare la gelosia di tutto Israele, ma sperava e pregava di poterne provocare alcuni (Romani 11:13,14).

Infine, Dio avrebbe spinto tutto Israele alla salvezza solo quando Gesù fosse tornato (o “in connessione con” il ritorno di Gesù). Questa potrebbe essere la parte più sorprendente del segreto di Paolo. I lettori attenti delle promesse di Dio nell’Antico Testamento avevano ragione: Israele sarebbe stato salvato quando sarebbe venuto il Messia, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che la salvezza di Israele si sarebbe verificata alla seconda venuta del Messia. Due venute! Nessuno lo aveva previsto. Paolo ci dice che Israele sarebbe stato salvato quando Gesù sarebbe tornato dalla Sion celeste, un luogo che Gesù aveva dischiuso con la sua morte, sepoltura e resurrezione (Romani 11:26,27). In questo modo, la conversione di Israele avrebbe rispecchiato quella di Paolo, trasformato da una visione celeste del Signore risorto.

Paolo ci racconta questo segreto, poi esplode in lodi (Romani 11:33-36). Solo un autore infinitamente saggio avrebbe potuto creare una trama in cui (quasi) ogni aspettativa creata si realizza in modo inaspettato. Una fedeltà sorprendente. Per quanto paradossale possa sembrare, non c’è davvero altro modo per descriverla. E non c’è un’altra storia come questa.

Il suo dolore

Sebbene il segreto di Paolo dissolva meravigliosamente ogni dubbio che potremmo avere sulla fedeltà di Dio, non credo che abbia diminuito il dolore di Paolo. Potremmo essere sorpresi da ciò che Paolo scrive in Romani 9-11, ma Paolo non lo fu. Scrisse Romani 9:2 sapendo benissimo cosa avrebbe scritto in Romani 11:25-27. Scrisse questi capitoli con il volto rigato di lacrime, nonostante il segreto che rivela.

Dopotutto, Israele non sarebbe stato salvato finché Gesù non fosse tornato e Gesù non sarebbe tornato, ci dice Paolo, finché Dio non avesse completato la sua opera tra i gentili (Romani 11:25). Per Paolo questo significava se non altro che Israele non sarebbe stato salvato finché qualcuno non si fosse spinto oltre Roma ed evangelizzato i gentili fino ai margini della carta geografica e per questo che ci dice quanto sia ansioso di arrivare in Spagna (Romani 15:14-33). Paolo sapeva che ogni ritardo, ogni battuta d’arresto, ogni cambiamento di programma, ogni gruppo di gentili non raggiunti significava che sarebbe trascorso più tempo senza il ritorno di Gesù e, di conseguenza, più morte e giudizio per così tante (troppe) persone in Israele.

Paolo sapeva anche che il momento della salvezza di Israele avrebbe significato che molti in Israele si sarebbero persi le esperienze di cui scrive nelle sue lettere e di cui predicava ovunque andasse. L’Israele che sarebbe stato salvato al ritorno di Gesù sarebbe stato un Israele che si sarebbe perso la vita nella chiesa durante questa era presente. Si sarebbe perso la grazia di lavorare per la propria salvezza (Filippesi 2:12, 13) lottando per camminare secondo lo Spirito (Galati 5:16) e rinnovando le proprie menti (Romani 12:2). Israele si sarebbe perso il piacere di aspettare il ritorno di Gesù e tutti i modi in cui questa esperienza ci prepara e arricchisce la nostra esperienza nel mondo a venire (vedere Matteo 25:21, 23).

Il suo esempio

Il segreto di Paolo dissipa i nostri dubbi sul carattere di Dio, ma non diminuisce il nostro dolore, e non dovrebbe. Non se seguiremo l’esempio di Paolo, che è esattamente ciò che la Bibbia ci chiama a fare (1 Corinzi 11:1).

L’esempio di Paolo ci insegna a celebrare ogni parte della storia di Dio. Infatti, è un segno di immaturità, o peggio, se non ci riusciamo. Il cuore di Paolo si espande quando racconta la storia di Dio. Ecco perché conclude questi capitoli con una dossologia imponente che si diletta nella saggezza e nella conoscenza di Dio. I nostri cuori non riescono ad allinearsi con quelli di Paolo se non siamo in grado di provare ciò che lui prova in Romani 11:33-36. Non riusciamo a seguire l’esempio di Paolo se possiamo raccontare la storia di Dio senza meraviglia e lode.

Allo stesso tempo, Paolo ci insegna che la dossologia può e deve essere accompagnata dal lamento, dall’angoscia. Il cuore di Paolo si infrange quando racconta la storia di Dio. Ecco perché inizia questi capitoli in quel modo e perché altrove parla delle sue lacrime (Filippesi 3:18). È un segno di immaturità o peggio, se non riusciamo a sentire ciò che Paolo sente in Romani 9:2. Infatti, qui come altrove, egli sta semplicemente seguendo l’esempio del suo Signore che versò lacrime esattamente per lo stesso motivo (Luca 19:41-44). Le lacrime di Gesù, inoltre, ci indicano un mistero insondabile: la “risposta” di Dio alla sua storia (2 Pietro 3:9).

Amici, gioite nella storia di Dio. Lasciate che vi faccia santificare il suo nome, ma nella vostra gioia non mancate di piangere. Non mancate di coltivare un cuore desideroso che gli altri possano condividere il bene che avete ricevuto da Dio e un cuore addolorato, persino incessantemente addolorato (Romani 9:2) quando si manca di farlo. Al paradosso della sorprendente ma fedele storia di Dio, aggiungiamo il paradosso della nostra risposta a essa: “tristi, ma sempre allegri” (2 Corinzi 6:10). In questo modo impariamo a seguire Paolo mentre lui seguiva e aspettava Cristo.

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