Le tante Asia Bibi che vivono in Pakistan. «La vita del “blasfemo” è come la morte»

Almeno 1.472 persone sono state incriminate per blasfemia tra il 1987 e il 2016 in Pakistan, 40 sono attualmente nel braccio della morte. Almeno 70 gli accusati uccisi dagli estremisti islamici.

Saima è una cristiana che ha passato quattro anni di isolamento in una cella pakistana per false accuse di blasfemia. Alla fine è stata assolta, è rientrata a casa ma la sua vita non tornerà mai più quella di prima. «Anche adesso che è tutto finito, mi sento come se fossi in carcere. Ho ancora i segni delle ferite lasciati dalle catene con le quali mi hanno legata. Le guardie non mi davano da mangiare perché ero cristiana e mi dicevano: “Sei una disgrazia per la tua religione”».

I NUMERI DELLA BLASFEMIA

Saima è stata accusata dai vicini di casa musulmani di aver dissacrato il Corano dopo che i rispettivi figli hanno litigato. Oggi la donna è stata riconosciuta innocente, è libera ma «non posso neanche andare a visitare la mia famiglia. Potrebbe essere pericoloso per loro». Ecco perché è costretta a vivere nascosta e sotto falso nome.

Almeno 1.472 persone sono state incriminate per blasfemia tra il 1987 e il 2016 in Pakistan. Si tratta soprattutto di musulmani, ma almeno il 25 per cento sono cristiani, nonostante rappresentino solo il 2 per cento della popolazione. La pena capitale, prevista per chi viola l’articolo 295 C del codice penale, non è mai stata eseguita su nessuno, ma attualmente ci sono almeno 40 persone nel braccio della morte. Il problema più grave connesso alla legge è rappresentato dall’estremismo islamico che domina nel paese. Chi viene assolto, infatti, non si libera mai dall’etichetta del “blasfemo” e rischia la morte. Almeno 70 persone sono state uccise dal 1990 a oggi da bande di musulmani dopo essere state accusate di blasfemia, come Shama e Shehzad Bibi, bruciati vivi nel 2014.

COSTRETTI A FUGGIRE

Per i pakistani che finiscono in questo girone infernale, l’unica soluzione è andarsene dalla Repubblica islamica. Joseph Francis, a capo del Centro di assistenza legale di Lahore, ha dichiarato alla Bbc di aver fatto assolvere almeno 120 persone da accuse di blasfemia. La maggior parte di queste ha dovuto poi abbandonare il Pakistan. «Chiunque venga tacciato di blasfemia non può sopravvivere nel nostro paese. L’unico modo è sparire dalla circolazione».

Tra le persone che rendono la vita impossibile ai «blasfemi», per quanto innocenti, c’è Ghulam Mustafa Chaudry, avvocato musulmano che dedica la sua vita professionale a farli incriminare. «Il mio lavoro mi fa sentire bene, avrò la mia ricompensa in paradiso», afferma, negando categoricamente che un musulmano abbia mai accusato un cristiano di blasfemia senza buone ragioni. «I musulmani non fanno queste cose. Se i cristiani commettono blasfemia è perché vogliono diventare degli eroi anti-islamici e così ottenere un visto per andare all’estero. È in atto una cospirazione internazionale. Se Asia Bibi è ancora viva deve ringraziare questa legge: altrimenti sarebbe stata uccisa all’istante».

«LA VITA È COME LA MORTE»

L’avvocato della donna cattolica, scagionata dalle accuse di blasfemia dopo oltre nove anni di carcere, un enorme lasso di tempo che avrebbe fatto impazzire chiunque, non è dello stesso avviso di Chaudry. «Asia Bibi è gioiosa è in forma. È una donna talmente forte», ha dichiarato a Paris Match Saif ul-Malook, scappato in Olanda dopo aver fatto assolvere la sua assistita. «Sta ancora aspettando un visto per espatriare, che dovrebbe arrivare a breve. Si trova a Islamabad. Senza una forte personalità e senza la fede non avrebbe mai resistito nove anni in una cella di cinque metri quadrati».

Asia Bibi potrebbe espatriare in Canada, secondo Malook, e così riprendere finalmente a vivere. Saima, invece, resterà in Pakistan alla mercé degli estremisti islamici: «Per me la vita è come la morte».

Foto Ansa

Leone Grotti | Tempi.it

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