L’eutanasia non è la soluzione alla sofferenza

Sappiamo bene come il protrarsi e il degenerare di una grave malattia possano provare la persona che ne è colpita fino a lasciarla “schiacciata“ dalle difficoltà che essa comporta, sia a livello fisico che psicologico e relazionale.

I timori si moltiplicano, le speranze si riducono, i dolori e gli affanni cominciano a dare il tormento. A volte mancano le risorse economiche per ottenere le cure, a volte la cura di cui più si ha bisogno e che più manca è l’affetto dei cari. Le situazioni di sofferenza possono essere tra le più disparate, ma una cosa è certa: non è l’eutanasia la soluzione.

Ce lo ha ricordato il caso di Stefano Gheller. «In sedia a rotelle sin dall’età di 14 anni, il 46enne è affetto da una grave distrofia muscolare che gli rende difficile ogni movimento e vive con il costante terrore che si stacchi il respiratore in assenza della persona che lo segue», non potendo permettersi un’assistenza a tempo pieno. Un’angoscia continua lo pervadeva.

Per questo voleva andare in Svizzera a chiedere il suicidio assistito. Ma poi, le numerose dimostrazioni di vicinanza da parte di tanti, pur senza mutare la sua complessa situazione di salute, lo hanno fatto ricredere sull’intento suicidario: «Non lo avrei mai creduto, ma tutte le testimonianze di affetto e vicinanza ricevute negli ultimi mesi, mi hanno fatto capire che forse la mia vita merita di più, che forse anche io ho ancora il diritto di sognare».

Se mai venisse approvata in Italia una legge su eutanasia e suicidio assistito, essa costituirebbe un grave pericolo. Non saranno pochi coloro che, soli e in preda allo sconforto, comincerebbero a interessarsi a come farla finita.

E noi come possiamo permetterlo? Come possiamo lasciare che delle persone vengano aiutate a farsi fuori e non vengano aiutate, piuttosto, ad eliminare o ridurre le cause che le porterebbero a tale atto estremo? Come possiamo non lottare per ciascuno di essi, affinché sappia che la sua vita è importante e che c’è chi è disposto a battersi affinché la sua sofferenza si possa ridurre al massimo?

di Luca Scalise | Provitaefamiglia.it

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