Libri: Andy Crouch, Culture Making – “Coltivatori del creato e co-creatori insieme con Dio”

Da molto tempo i cristiani lamentano la violenza, il cinismo e l’avidità della cultura li circonda. Restiamo stupefatti dai valori promossi da Hollywood, dalla cantante del momento, dalle chiacchiere dal parrucchiere. Ma Andy Crouch, l’editore della più importante rivista evangelica americana, Christianity Today, ci chiama ad abbandonare la passività che segna l’approccio evangelico predominante per assumere un atteggiamento propositivo: fare cultura. Riprendendo la narrativa biblica dalla Genesi all’Apocalisse, Crouch sottolinea la nostra responsabilità come coltivatori del creato e come co-creatori insieme a Dio di un mondo più giusto, armonioso e riconoscente al suo Creatore.

L’intuizione centrale di Culture Making è: “L’unico modo di cambiare la cultura è farne di più”. Solo nuove proposte, nuove alternative, possono sostituire quello che già esiste ed essere d’impatto per quello che verrà prodotto nel futuro. Infatti, Crouch propone una ricca tipologia di approcci, che possibilmente prenderà il posto dominante nell’immaginario evangelico delle categorie monolitiche del classico Christ and Culture di H. Richard Niebuhr. Al posto delle grosse pennellate di Niebuhr, Crouch usa un linguaggio più agile e sottile di gesti e posture: un gesto è un’azione appropriata ad una certa situazione, per esempio, tenere una penna in mano per scrivere; un gesto che può essere ripetuto tante volte da diventare centrale per la nostra identità e postura. Pensiamo ad esempio a una modella che sembra star sempre camminando sulla passerella, o all’adolescente che gioca ai videogame e sembra avere i pollici sempre irrequieti e le spalle contratte verso una TV invisibile.

Il primo gesto della tipologia di Crouch è condannare la cultura. E’ un gesto appropriato per certi elementi della cultura, per esempio la pornografia e la tratta sessuale di donne e bambini. Però per molti cristiani condannare la cultura diventa non solo il gesto in risposta a essi, ma diventa la loro risposta predominante, magari l’unica reazione culturale che hanno. Però, per Crouch, questo atteggiamento incontra molti problemi: non avrà nessun effetto sulla cultura, soprattutto se rimaniamo a parlare tra di noi concordando su quanto le cose vanno male; non porterà all’abbandono di beni culturali se nessuna alternativa viene proposta; ci renderà chiusi alla bontà e bellezza presenti in molti aspetti della cultura.

Il secondo atteggiamento è criticare la cultura: analizzarla, studiare la visione del mondo presente dietro un bene culturale. E’ un’opzione più sottile e sofisticata dalla prima, che cerca di ascoltare con attenzione e discernere quello che è buono da quello che non lo è. Ma come atteggiamento dominante, criticare la cultura rimane sempre passivo, aspettando che il prossimo bene culturale arrivi affinché possiamo criticarlo. E i critici troveranno ascolto e influiranno sui parametri culturali (cosa è buono, cosa è bello, cosa è di cattivo gusto) solo se il critico stesso ha già creato qualcosa.

Il terzo atteggiamento è copiare la cultura: come gli altri un gesto valido in certe situazioni, “copiare” per esempio il linguaggio che tutti parlano o usare stili musicali per comporre canzoni con parole magari migliori. Ma se il copiare è il nostro atteggiamento dominante, saremo sempre indietro, finché non riusciremo a copiare qualcosa; saremo poco creativi e poco credibili; adotteremo molti aspetti della cultura senza esserne critici. Esiste anche il pericolo di trovare successo e creare sottoculture che proteggono e separano le persone dalla cultura, spazi dove non interagiamo con quello che proviene dagli altri né gli altri con quello che proponiamo noi.

Il quarto atteggiamento è consumare la cultura: un gesto appropriato, ad esempio, verso una frittata che non va criticata ma mangiata. Ma quando il consumo diventa la nostra postura dominante, rimaniamo troppo attenti alle nostre preferenze e desideri. E’ anche l’alternativa meno riflettuta, perché condanniamo nel nome di altri valori, critichiamo per capire e giudicare bene, copiamo per farne un buon uso. Ma il consumo puro è capitolazione, è lasciare che altri definiscano i parametri culturali e rinforzino quello che già è presente nel mercato.

E così arriviamo all’ultimo atteggiamento dominante: creare cultura. È, secondo l’autore, l’atteggiamento dominante a cui ci chiama la Genesi: essere coltivatori e creatori, giardinieri e artisti. Si studia quello che già esiste, si apprezzano e si coltivano i buoni elementi, e poi si lavora per creare qualcos’altro. E’ una postura non ingenua ma che include gli altri gesti: rimaniamo a condannare quello che va condannato, siamo critici di tutto ciò che consumiamo. Infatti, prima di scrivere un buon libro dobbiamo leggere mille libri; prima di diventare un bravo architetto dobbiamo studiare tanti progetti. Come sottolinea la Genesi, la creazione inizia con la coltivazione, dobbiamo diventare ben informati sulla nostra tradizione culturale. “La creatività culturale richiede maturità culturale,” afferma Crouch.

Ma questa immersione culturale ha un fine, perché poi vogliamo proporre qualcosa. Vogliamo creare, esprimere l’identità creativa che Dio ci ha dato. E quando lo facciamo, qualcosa di curioso succede: quelli che hanno coltivato e creato avranno la legittimità per condannare con autorità, per criticare con sottigliezza, per copiare senza diventare imitatori ma estendendo quella prospettiva in nuove direzioni. Coltivatori e creatori, artisti e giardinieri; lavorare con responsabilità, discernimento e creatività, all’immagine di quello che ha creato tutto: questa è la chiamata biblica per noi. Che Culture Making sia una chiamata ad nuova generazione di cristiani che creano cultura.

Andy Crouch, Culture Making: Recovering our Creative Calling, Intervarsity Press, 2008.

Recensione di René Breuel, DiRS-GBU

René Breuel è pastore della Chiesa Evangelica San Lorenzo, a Roma, editore del forum wonderingfair.com, e autore di The Paradox of Happiness.

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