Libro gender all’asilo di Roma, scoppia la protesta

img-_innerArtFb-_piccolo_uovo“Ci sono talmente tanti tipi di famiglie” comprese quella formata da due mamme gatte e il loro cucciolo, o dai due pinguini-papà “insieme ai loro piccoli”. Questi alcuni passaggi del libro Piccolo uovo di Francesca Pardi, diffuso in sempre più asili e asili nido da nord a sud Italia, spesso all’insaputa degli stessi genitori, come dimostra l’ultimo caso che viene da un asilo nido di Roma.

Siamo nel quartiere Settecamini –  quando a fine gennaio viene approvato un progetto di lettura che prevede l’acquisto, da parte dei genitori, di libri che i bambini – dell’età di 20 mesi – avrebbero consultato con le educatrici e che avrebbero potuto portare a casa come materiale extra-scolastico. La lista non viene resa nota: una mamma ha una brutta sorpresa quando scopre che il libro a lei assegnato è proprio il libro della Pardi, edito da “Stampatello”.

La mamma si rifiuta di acquistare il testo e informa del suo disappunto le educatrici che invece difendono il libro, su cui spiegano di aver svolto un corso, uno dei tanti che il comune di Roma ha promosso negli ultimi due anni e che spesso, dietro l’obiettivo di accogliere i figli delle “nuove forme di  famiglie,” impongono a senso unico alle educatici e quindi ai bambini l’equiparazione di famiglie omogenitoriali e famiglie naturali.

Non solo: le educatrici inducono la signora a pensare che in realtà gli altri genitori erano al corrente e condividevano la scelta di Piccolo uovo. La madre riesce solo a ottenere una promessa verbale che al figlio sarebbero state proposte delle attività alternative invece della lettura del libro.

Poco dopo l’amara scoperta: “nessun genitore era a conoscenza della scelta del libro, nel verbale non se ne parlava, né tantomeno si accennava ad argomenti inerenti questioni sensibili riguardanti la sfera famigliare e degli affetti,” raccontano i genitori che in tal modo si sono visti così completamente scavalcati. Altri genitori cominciano ad attivarsi e a manifestare il proprio disappunto alla scuola e alla cooperativa cui la struttura fa capo che decide comunque di acquistare il libro come corredo per il nido.

Nelle riunioni con le insegnanti e con i responsabili della cooperativa i genitori chiedono semplicemente “che i propri figli non abbiano alcun contatto con tale libro, ribadendo il proprio diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire al proprio figlio.” In sostanza, l’esonero totale da un progetto educativo non condiviso dalla famiglia. La cooperativa risponde che “il genitore può liberamente scegliere di non portare a casa il libro nel week-end e si può garantire che non sarebbe stato letto dalle educatrici, ma che non si può in alcun modo garantire che non venga sfogliato autonomamente dal bambino”.

Il Comitato Articolo 26, che si è occupato di assistere i genitori in questa vicenda, ha inviato una prima richiesta formale di chiarimenti alla cooperativa che gestisce il nido in concessione comunale. “Non avendo ricevuto alcuna risposta, abbiamo provveduto a inoltrare la richiesta agli uffici scolastici del Municipio e del Comune di Roma”, spiega Chiara Iannarelli, del direttivo del Comitato Articolo 26 e dell’area scuola di Difendiamo i Nostri Figli.

Una delle argomentazioni di chi difende libri come Piccolo uovo è che essi non abbiano nulla a che fare la teoria gender e che quindi non ci sarebbe alcun pericolo legato alla loro diffusione. La pensa diversamente il dottor Paolo Scapellato – psicologo e psicoterapeuta, docente a contratto di Psicologia Clinica all’Università Europea di Roma – che afferma: “il libro fa parte di quel tipo di letteratura definita di genere (o gender), in quanto afferma il primato della cultura sulla natura, non riconoscendo anzi quest’ultima come fondamento della vita”. Il bambino viene così usato come un mero “strumento di cambiamento culturale determinato da una parte degli adulti. Asserendo che la famiglia tradizionale sia frutto di dinamiche puramente culturali, si fornisce un’altra concezione puramente culturale” introducendo il bambino “in un modo di leggere il proprio mondo assolutamente relativista”.

“A livello educativo,” continua Scapellato, “è importante che il bambino colga la sua natura e la natura del mondo in cui vive: papà e mamma insieme possono generare un bambino, il quale avrà bisogno di cure e affetto per poter crescere in maniera sana,” mentre in libri come quello di Francesca Pardi, “ampliando il concetto a tutte le unioni possibili si perde l’importanza delle figure genitoriali. I concetti di padre e madre rimangono vuoti, legati esclusivamente all’esser maschio o femmina. Si perde il concetto di paternità, di maternità, di differenze sessuali”.

Nel libro per di più viene presentata al bambino una realtà alla rovescia, sottolinea lo psicoterapeuta: “affermare che ogni tipo di unione è famiglia e quindi tutte le famiglie hanno diritto ad avere figli è un’inversione logica delle cose: dal fatto che due persone, maschio e femmina, si uniscono e generano un figlio, allora la società li riconosce ufficialmente come famiglia responsabile della crescita di quel nuovo cittadino, si passa al riconoscimento della famiglia e quindi al diritto di avere un bambino”. Piccolo uovo viene proposto a bambini dai 2 ai 4 anni che non hanno “capacità riflessive per cogliere tali sottigliezze e prendere quindi una posizione critica. Insegnargli quindi un concetto esclusivamente artificiale, allontanandolo dalla comprensione della natura di cui fa parte, assomiglia molto a un atto di plagio,” afferma Scapellato, che conclude: “dato che tutta la psicologia dello sviluppo si basa sull’individuazione delle fasi universali della crescita umana (sviluppo affettivo, cognitivo, sociale e morale), appare ingiustificato qualsiasi azione educativa basata su un relativismo assoluto”.

di Andrea Lavelli | Lanuovabq.it/

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