Prodotta per le scuole una serie ambientata in un condominio “only for gays”. Intervista al sottosegretario del Miur: «L’Ufficio antidiscriminazioni deve chiarire i suoi scopi».
L’offensiva per introdurre la teoria del gender nelle scuole italiane non si ferma. L’ultima trovata patrocinata dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), in occasione della settimana contro il razzismo, è la proposta alle scuole di una sitcom, Vicini, in cui si parla di un condominio che accoglie le coppie omosessuali ma non le famiglie con bambini. Inoltre non si contano più ormai le proteste da parte dei genitori per il moltiplicarsi delle iniziative dell’Unar e delle associazioni Lgbt che negli ultimi mesi hanno usato la scuola per promuovere la loro agenda: pubblicazioni, convegni, giornate di formazione per insegnanti e studenti.
Per questo il sottosegretario al ministero dell’Istruzione Gabriele Toccafondi (foto sotto a sinistra) – che il mese scorso aveva già spiegato di «non sapere niente di quanto deciso da questo ufficio (l’Unar, ndr) che produce materiale per le scuole, gli studenti e gli insegnanti, con un’impronta culturale a senso unico» – ora dice a tempi.it che «bisogna che siano presi dei provvedimenti per fare chiarezza sugli scopi dell’Unar».
Lei ha chiesto il ritiro degli opuscoli dell’Unar che introducono nelle scuole la teoria del gender, però alcuni istituti (pochi per ora) li hanno già scaricati dal sito e ogni giorno vengono denunciati tentativi di imporre questa dottrina nelle scuole di tutti i gradi, compresa quella dell’infanzia. Come pensate di intervenire?
I libretti sono stati commissionati dal ministero delle Pari opportunità all’istituto Beck per una spesa di circa 24 mila euro. Alla notizia dei gravi contenuti di questi opuscoli con il ministero dell’Istruzione ho chiesto di bloccarne la distribuzione. Il problema è che qualcuno li aveva già stampati e non si può escludere che siano stati usati o che possano essere fotocopiati. La cosa grave di tutta la vicenda però sta a monte, quando queste tematiche sono state assunte come modello educativo senza il consenso dei genitori, rimasti completamente esclusi dalla cosiddetta strategia per la lotta contro la discriminazione nelle scuole.
La “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, varata dall’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero, è stata affidata per decreto a 29 associazioni, tutte rigorosamente Lgbt, e all’Unar. Cosa c’entra un Ufficio antidiscriminazioni con l’educazione e con i cosiddetti diritti gay?
Nulla. A questo punto l’Unar deve chiarire i suoi scopi. Nato nel 2003 per via di una direttiva europea che spingeva gli Stati a combattere le discriminazioni fondate sulla razza e l’etnia, oggi si fa veicolo di tutt’altro. È chiaro che occorre educare all’accoglienza di ogni persona, combattendo ogni forma di violenza, ma ora sotto la dicitura di lotta alla discriminazione e al bullismo sta mirando a tutt’altro: all’imposizione della teoria del gender e alla promozione di nuove forme di famiglia. Ancora una volta l’Unar ha destinato alle scuole un filmato ideologico senza il consenso dei genitori, a cui per primi compete l’educazione dei figli. A maggior ragione bisogna chiedere conto all’Unar del repentino mutamento dei suoi fini.
Cosa pensano il nuovo ministro dell’Istruzione e il governo dei corsi sul gender per insegnanti e alunni che già si tengono nelle scuole, spesso all’insaputa dei genitori?
Giunto fino a qui il governo si deve esprimere sui problemi a monte, che risiedono nell’ambiguità di certi organismi come l’Unar, e poi sulle loro conseguenze che vediamo in atto. Non c’è giorno che passa in cui non ci siano genitori costretti a dar battaglia vedendo lesa la loro libertà di educazione, per altro protetta dall’articolo 30 della Costituzione. Penso all’ultimo episodio di Modena in cui si pretendeva che Vladimir Luxuria entrasse a parlare al liceo classico Muratori senza nemmeno un contraddittorio. Non si può usare la scuola così, come un campo di battaglia ideologico. Oltre al governo quindi tutti dovranno fare un passo in avanti per fermare questa invasione di campo.
Eppure gli enti locali finanziano la formazione gender delle maestre o lasciano che circolino fiabe “gay-friendly”. Il ministero dell’Istruzione interverrà anche a questo livello?
Spetterebbe agli enti locali stabilire il materiale da far entrare negli asili. Proprio per tutelare l’alleanza genitori-scuola e rendere effettiva la libertà di educazione, il ministero non può vagliare o imporre tutto quello che entra negli istituti. Anche se poi a tutto c’è un limite, davanti a cui le istituzioni devono intervenire. Quanto sta succedendo, però, dimostra che occorre che i genitori si riprendano il loro posto e che le scuole glielo diano. Anche perché chi riesce a incidere di più sono proprio le associazioni o i singoli genitori che si ribellano all’ideologia imposta. Come la mamma milanese che si è rifiutata di apporre la sua firma sul modulo che la indicava come “genitore 1”: ha dato coraggio a molti, scatenando l’emulazione. Quindi ripeto che serve una presa di posizione di ciascuno: del governo, dei ministeri, delle istituzioni locali, delle scuole e delle famiglie.
Cosa pensa che avverrà se il Senato approvasse il ddl Scalfarotto che punisce il reato di “omofobia” con il carcere?
Con tutto il rispetto per il Parlamento che sta votando la norma ora al Senato, anche qui la legge è presentata come una misura volta a contrastare la lotta alla discriminazione, ma quello che comporta è ben altro: tra le altre viene messa in discussione la libertà di espressione e quella educativa, entrambe protette dalla Costituzione.
Fonte: http://www.tempi.it/
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