Ogni giorno 20.000 ragazze sotto i 18 anni partoriscono nei Paesi in via di sviluppo. In totale sono 7,3 milioni all’anno e di queste circa 2 milioni hanno meno di 15 anni. Se si includono tutte le gravidanze, anche quelle che non arrivano al parto, il numero è molto più alto. La fotografia è quella del Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2013 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) presentato in contemporanea mondiale il 30 ottobre 2013 e dal titolo Madri bambine: affrontare il dramma delle gravidanze tra adolescenti (.pdf). In Italia il rapporto è stato curato e lanciatodall’Associazione italiana donne per lo sviluppo (AIDOS) che con la sua presiodente Daniela Colombo ha sottolineato come “il corpo di una bambina non è pronto ad affrontare uno sforzo simile, così, ogni anno muoiono 70 mila adolescenti per complicanze legate alla gravidanza. E sono circa 3,2 milioni gli aborti a rischio. Il 95% delle nascite da madri adolescenti si verifica nei paesi in via di sviluppo, dove d’altronde si concentra l’88% di tutta la popolazione adolescente”. Maanche nei Paesi cosiddetti sviluppati capita alle ragazze di rimanere incinta: ci sono 680 mila adolescenti madri ogni anno, la metà delle quali negli Stati Uniti, e anche l’Italia non è esclusa dal fenomeno, come dimostra la recente gravidanza di unaragazzina di appena 11 anni che vive in un paese dell’hinterland leccese.
Tuttavia “È nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo che le bambine e le adolescenti occupano l’ultimo gradino della scala gerarchica familiare – ha spiegato la Colombo -. Sono sfruttate per ogni sorta di lavori domestici o di attività generatrici di reddito, come ad esempio la tessitura. Spesso sono abusate sessualmente da membri della loro stessa famiglia, sono sottoposte a pratiche tradizionali quali le mutilazioni dei genitali femminili e sono costrette a matrimoni precoci e forzati in cambio del cosiddetto prezzo della sposa o di negoziati economici o motivi di sangue tra famiglie”. Come aveva ricordato ad Unimondo lo scorso mese ancheSunitha Krishnan l’attivista indiana dell’associazione Prajwala, che offre supporto psicologico, medico, legale, economico e lavorativo a donne, bambini e bambine vittime di violenza o di sfruttamento a scopo sessuale, “Tollerare anche piccole, apparentemente trascurabili, manifestazioni di violenza significa permettere che nuove forme di abuso sempre peggiori entrino subdolamente nel nostro quotidiano, nelle nostre normalità e diventino sempre più difficili da sradicare”. Questa, infatti, secondo il rapporto Madri bambine, sembra essere ancora semplicemente lanormalità in tanti Paesi dove le società patriarcali assegnano a uomini e donne compiti e funzioni diverse sulla base di una profonda iniquità iscritta nella tradizionale costruzione dell’identità di genere fin dall’adolescenza.
Se è vero che moltissime organizzazioni si impegnano per l’infanzia, per AIDOSpochissimi sono i programmi che cercano di far fronte specificamente ai bisogni delle adolescenti e, soprattutto, di quelle più povere e di quelle tra i 10 e i 14 anni che nascono e continuano a crescere “invisibili”, sotto il peso di responsabilità adulte arrivate troppo presto, che cancellano i loro sogni e le loro aspirazioni. Per loro Population Council, un istituto americano di ricerche sulla popolazione che da diversi anni indaga la condizione delle bambine e adolescenti dei Paesi in via di sviluppo, ha coniato la definizione di “Girls left behind” adolescenti ai margini, una definizione che inquadra perfettamente il profilo tipico delle Madri bambine del rapporto UNFPA. “Tra i 10 e i 14 anni queste bambine e adolescenti vivono già lontane dalla loro famiglia, non vanno più a scuola, lavorano come domestiche per famiglie poco più benestanti della loro, spesso solo in cambio di vitto e alloggio. Per il lavoro si trasferiscono in città, perdendo la rete di relazioni familiari e amicali di supporto su cui potevano contare al villaggio e ritrovandosi sole, spesso senza documenti di identità e senza alcuna protezione sociale e/o sanitaria. Quando sono sposate, raramente il loro matrimonio è stato un matrimonio d’amore”. Nella regione Amhara in Etiopia, il 95% delle ragazze intervistate per una ricerca condotta sempre da Population Council non conosceva il marito prima di sposarsi, l’87% di loro non era stata nemmeno avvertita dell’imminente matrimonio, né era stata chiesto il suo consenso. “Nonostante l’età media al momento delle nozze tenda ovunque ad innalzarsi, nei Paesi in via di sviluppo circa 100 milioni di adolescenti nel prossimo decennio saranno costrette a sposarsi prima di aver compiuto i 18 anni – ha continuato la Colombo – I sondaggi demografici e sanitari realizzati in 51 paesi da Macro International per conto del Governo americano, dimostrano come il 56 per cento delle donne di età compresa tra i 20 e 24 anni si era sposata prima di aver compiuto 20 anni, contro appena il 14 per cento degli uomini della stessa età. Le adolescenti sposate vivono in genere nella casa della famiglia del marito, dove lavorano dalla mattina alla sera con pochissime occasioni di svago, e quasi nessuna per frequentare le proprie coetanee”. Come se non bastasse poi la diffusione esponenziale del virus dell’Hiv è spesso un tratto caratteristico della vita di queste spose bambine, che loro finiscono per subire perché ignare dei rischi per la propria salute, dei propri diritti, oltre che totalmente prive di tutela da parte delle istituzioni.
Anche per questo nei Centri per la salute delle donne che AIDOS ha realizzato con partner locali nel Sud del mondo con la collaborazione di UNFPA, sono stati avviati deiservizi ad hoc per queste adolescenti e ragazze, con personale specializzato, counselling psicologico, legale e sociale, ma anche centri di accoglienza, spazi sicuri dove avere qualche momento di svago o di attività sportiva, corsi di formazione professionale, attività di alfabetizzazione. Progetti importanti per seminare una nuova cultura di genere come “in India, a Kolkata, dove da oltre quindici anni un piccolo progetto per la scolarizzazione delle bambine di una delle baraccopoli islamiche più povere, Tiljala, ha avuto un esito straordinario per ritardare i matrimoni precoci e permettere alle bambine più povere di arrivare alla laurea, cambiando non solo la loro vita, ma anche quella delle loro famiglie e della baraccopoli stessa” ha concluso la Colombo.
Come ha più volte ricordato e scritto il premio Nobel Amartya Sen, infatti, “sono loro, le future donne, se vengono aiutate, la risorsa fondamentale per lo sviluppo delle loro comunità”, un’idea condivisa il 30 ottobre anche da Giulia Avallese, rappresentante UNFPA in Nepal che ha raccontato come “Ogni gravidanza adolescenziale comporta grandi rischi per la salute, conseguenze psicologiche e molto spesso costringe le giovani a lasciare la scuola. Ed una ragazza senza istruzione è una ragazza che non ha le competenze necessarie per trovare un lavoro e costruire un futuro per sé e per la sua famiglia e per contribuire allo sviluppo del suo Paese”. Per questo “Il Rapporto quest’anno vuole proporre un nuovo approccio al problema”, ha concluso la Avallese “è necessario che ci si concentri sul capitale umano di queste ragazze. E far sì che sempre più ragazzine al mondo siano in grado di prendere le loro decisioni”.
Alessandro Graziadei
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