Il ministro Gamawan Fauzi sostiene le manifestazioni islamiste per la cacciata di Susan Jasmine Zulkifli. Secca la risposta del vice-governatore: Indonesia nazione pluralista, Fauzi impari la Costituzione. Dietro la battaglia locale si agita lo spettro di una contesa a livello nazionale fra due visioni diverse del Paese.
Jakarta (AsiaNews) – Ministro degli Interni contro governatorato di Jakarta; diritti costituzionali contro una deriva estremista; pluralismo e integrazione contro una visione settaria e islamica radicale del Paese. Si è trasformata in uno scontro frontale fra istituzioni e modi diversi di intendere il futuro della nazione, la controversia lega alla cristiana protestante Susan Jasmine Zulkifli, capo del sotto-distretto di Lenteng Agung, area di South Jakarta (nella provincia di West Java) a grande maggioranza musulmana. Ad alimentare la tensione l’intervento di un ministro di primo piano dell’esecutivo del presidente Susilo Bambang Yudhoyono, che chiede al governatorato di Jakarta di trasferire la funzionaria; a stretto giro di vite la risposta dell’amministrazione della capitale, che respinge al mittente le ingerenze e invita a giudicare le persone in base al loro lavoro, non alla fede professata in uno Stato che si definisce “multiculturale e aperto alle religioni”.
Da settimane la frangia estremista islamica cerca in diversi modi – manifestazioni, campagne diffamatorie, raccolta firme (poi rivelatesi inesistenti) – di ottenere la cacciata della Zulkifli, la cui sola colpa è di essere cristiana in un distretto a maggioranza musulmano. In realtà, dietro l’attacco vi sarebbe il tentativo della frangia estremista di delegittimare le personalità cristiane che acquistano sempre più peso e spazio politico nel Paese musulmano più popoloso al mondo, in cui la libertà religiosa e la parità dei diritti son garantiti dalla Costituzione e sono fondamento dello Stato, ma non sempre vengono rispettati.
Nei giorni scorsi nel distretto di Lenteng Agung si sono moltiplicate le manifestazioni di gruppi estremisti contro il funzionario capo. I dimostranti bollano la donna come “infedele” e inadeguata al ruolo di governo dal punto di vista “morale e religioso”. “Vogliamo cacciarla da qui – afferma Suparma, un abitante dell’area – perché non è dei nostri”. Un giudizio condiviso da Hamdan Rasyid, leader della sezione di Jakarta del Consiglio indonesiano degli ulema (Mui), secondo cui la presenza di Zulkifli rischia di esacerbare le “tensioni fra i musulmani”.
Ad acuire lo scontro (finora politico), l’intervento – del tutto inatteso – del ministro degli Interni Gamawan Fauzi che porta la controversia sulla ribalta nazionale. Egli dichiara la propria vicinanza ai manifestanti contrari alla funzionaria cristiana, perché “la sua presenza non è accolta con calore dalla maggioranza della popolazione”.
Pronta la replica dei vertici di Jakarta, con l’intervento del vice-governatore (cristiano) Basuki Tjahaja Purnama – meglio noto come “Ahok” – che definisce “inopportuni” i commenti rilasciati da un politico di alto profilo e membro del governo. Il voce-governatore invita il ministro a “studiare la Costituzione” che prevede il pluralismo “secondo lo spirito del Pancasila”, i principi fondatori dello Stato. Ahok chiede inoltre di non trascinare una contesa politica sul piano religioso, invitando gli oppositori a batterlo “alle prossime elezioni nel 2017” dopo una lotta politica, non con pretestuosi attacchi di natura confessionale.
Esperti di politica indonesiana spiegano che la lotta attorno alla Zulkifli e, indirettamente al duo Jokowi-Ahok alla guida del governatorato di Jakarta, nasconde in realtà una sfida di ben più ampia portata, che raggiunge la scala nazionale. Assieme al governatore Joko Widodo (Jokowi), Ahok ha costituito un tandem di governo che ha saputo migliorare la qualità di vita nella capitale, adottando una serie di leggi che hanno riscosso il plauso della popolazione. Per questo è ragionevole ipotizzare che una parte del Paese sfrutti il pretesto della religione, per sferrare attacchi di natura “prettamente politica”, nel tentativo di gettare discredito sugli avversari e recuperare il consenso perduto. Del resto, in vista delle elezioni nazionali del 2014 gli islamisti vedono come il fumo negli occhi la collaborazione attiva fra leader cristiani e musulmani.
(AsiaNews)
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