MORIRE DI LAVORO

Nella settimana della ripresa di molte attività, scontiamo un prezzo salato in termini di vite umane. Ad Ottaviano un morto e due feriti gravi nell’esplosione nella Adler Plastic. Vincenzo Lanza torna sul posto di lavoro, dopo un periodo di cassa integrazione forzata, e riassapora il piacere della fatica delle proprie mani per vedere improvvisamente saltare tutto per aria. A Cercola invece, Antonio Nagaro, non potendo far fronte all’esposizione economica della sua società, nel tempo è sprofondato nel male grigio, trovando come unica soluzione un cappio al collo.

Non abbiamo ancora finito di versare le lacrime per Pasquale Apicella, che piangiamo per altre due famiglie napoletane. Sale tanta amarezza alla bocca e una grande delusione copre i pensieri nel considerare che il lavoro dovrebbe essere lo strumento per realizzare i propri desideri, l’unico mezzo per raggiungere obiettivi che diano soddisfazione e gioia, ma semplicemente per guadagnarsi da vivere onestamente. Invece, ancora oggi siamo qui a ricordare chi ha perso la vita per il lavoro e a pregare per le loro famiglie.

Pasquale, Vincenzo, Antonio, non solo nomi. Mogli, figli, fratelli, amici, colleghi, concittadini hanno perso, e noi con loro. Assieme gridiamo che non si può morire di lavoro, sul lavoro e per lavoro. Dio mio, aiuta i cari di questi uomini, asciuga le loro lacrime, reca loro quell’abbraccio che non potremo donare.

Elpidio Pezzella

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