Noi serviamo un Dio GRANDE E MERAVIGLIOSO!

Pastore Domenico Modugno

Stasera, mentre vedevo la presentazione di questo bambino, qui in chiesa, ho pensato a mia figlia Tabita quando è venuta alla luce!
Io e Ginetta eravamo sposati da poco e dopo nemmeno due mesi dal matrimonio, mia moglie mi informò che era in dolce attesa. Coronavamo il nostro sogno d’amore con l’arrivo di una bambina: Tabita.
Purtroppo la gestazione non andò bene e la bambina nacque settimina. Era piccolissima in una grande incubatrice con seri problemi fisici! Le praticarono d’urgenza una exanguinotrasfusione cioè un ricambio del sangue in circolo. Oltre a ciò ebbe una setticemia. Ha lottato fra la vita e la morte.

Dopo 40 giorni (40 nella Bibbia indica sempre la prova) è stata dimessa. Non abbiamo avuto le gioie tipiche di chi ha un figlio: niente allattamento al seno, ambiente familiare con temperatura controllata e costante, difficoltà nell’alimentazione. Ma eravamo lo stesso felici: eravamo a casa. Non è stato semplice prenderci cura di lei, anche perché aveva una grave displasia, in pratica la testa del femore non era nella sua sede normale, per cui gli avevano messo un divaricatore stranissimo. Si chiama divaricatore di Pavlik, che consta di due segmenti di acciaio dolce, dove i suoi piccoli arti inferiori venivano fasciati con fasce elastiche. I suoi arti erano in una posizione di iper-estensione e questa struttura arrivava quasi a livello delle costole. Era più grande il Pavlik di Tabita.

Quando uscivamo, tutti si fermavano per vedere questa piccola bambina imbrigliata in questa prigione. A volte alcune persone hanno la sensibilità di un elefante in un negozio di Swarovski. Ci fermavano per strada e seccamente domandavano: “Che cosa ha questa bambina? Ma perché ha questo apparecchio? Cerchi altri medici fuori regione, da noi non sono molto bravi”.
Una giorno siamo andati a comprare una macchina: una Panda, e il venditore invece di convincerci a comprare l’auto, voleva sapere delle condizioni cliniche di mia figlia! Era interessato ai nostri problemi e non alle sue vendite.

Ogni 15 giorni portavo Tabita in ospedale, dall’ortopedico. Da anni esercitavo la professione di infermiere Professionale di Sala Operatoria nell’ospedale Pediatrico di Bari. In questo ospedale c’era un ottimo specialista che controllava la bambina.
Ogni visita però le procurava dolore, così quando dovevamo farle il bagnetto: era un’impresa a causa delle fasce che ancoravano le sue piccole gambe ai segmenti di acciaio dolce.

Una sera io e mia moglie eravamo a letto e parlavamo di fede. Mia moglie mi ha detto: “Perché non mettiamo in azione la nostra fede?”
Le chiesi: “Cosa vuoi dire?”
“Perché non gli togliamo il Pavlik e crediamo alla promessa del Signore che Lui guarisce”?
La cosa mi sembrò ardua… ma mi alzai dal letto, tolsi il divaricatore a Tabita che stranamente non pianse. Presi il divaricatore e lo misi nello sgabuzzino. Chiusi la porta e mi rimisi a letto! In quel momento mi sentivo un super eroe della fede: “Wow. Mi sentivo bene”.
Dopo qualche minuto mia moglie mi disse: “Domani potremmo essere tentati a prenderlo e a rimetterglielo. Perché non vai a buttarlo nel cassettone dell’immondizia”?
La cosa mi sembrava ancora più difficile, ma lo feci. Era forse mezzanotte. Abitavamo al piano terra: aprii il cassettone dell’immondizia e buttai dentro il divaricatore. Mi rimisi a letto ma non riuscii a dormire fino alle due di notte, fino a quando non sentii il camion della spazzatura che svuotava il cassone. Il Pavlik non era più recuperabile!
Dopo qualche ora mi alzai per andare a lavorare.

Il primario di Ortopedia non l’ho mai incontrato all’ingresso dell’ospedale. Lo vedevo solo nelle visite prima quindicinali e poi mensili che faceva Tabita. Del resto io lavoravo all’ultimo piano e lui al quarto. Mai ci eravamo incrociati.
Quel giorno arrivai in ospedale e lo trovai davanti all’ascensore. Mi disse: “Modugno, mi raccomando fra un po’ c’è la visita per Tabita. Non dimenticarti”.
E non ebbi il coraggio di dirgli quello che avevo fatto la notte precedente.
Il giorno dopo entrai in ospedale. All’ingresso, lui non c’era. Pigiai il pulsante dell’ascensore e il professore arrivò alle mie spalle dicendomi: “Modugno fra qualche giorno ci vediamo”.
Gli sorrisi, ma non ebbi nuovamente il coraggio di informarlo che avevo tolto il divaricatore.
Il terzo giorno, arrivai in ospedale e prima di uscire dalla macchina, mi guardai attorno per vedere se lui c’era. Da lontano focalizzai l’ingressi: era vuoto. Velocemente mi diressi verso l’ascensore, spinsi il pulsante e quando l’ascensore arrivò al piano e si aprì… il primario era all’interno. Mi disse nuovamente: “Modugno devi portarmi tua figlia non dimenticartelo”.
Allora gli dissi: “Professore lei sa che noi siamo credenti e crediamo che Dio PUO’ fare ogni miracolo. Volevo informarla che da tre giorni ho rimosso il divaricatore”.
Non ricordo cosa mi disse, ma ricordo che si arrabbiò molto: urlò la sua disapprovazione. Mi intimò di portare la bambina al controllo.

Quella mattina la mia fede non fu scalfita. Non ebbi paura. Mi sentivo forte di Dio. Sereno in Lui. Ero certo, che Colui che aveva incominciato un’opera l’avrebbe portata a termine!
Da quel giorno, come accadeva prima, non non incontrai più il professore.
Sono passati mesi, diversi mesi da quell’incontro. Tabita ha incominciato a camminare dopo un anno di vita. Forse a quindici o sedici mesi più o meno. Ma quando l’ho vista correre per casa senza zoppicare gli ho detto: “Vieni con me Tabita”.
Siamo andati in ospedale, in Ortopedia e la tenevo in braccio. Appena i colleghi ci hanno visto, ci sono venuti incontro, hanno baciato la bambina, hanno fatto una piccola festa per lei.
Il professore è uscito dalla sua stanza, ci ha guardato da lontano, poi si è avvicinato a noi e mi ha detto: “Modugno, tutto bene?”- Ho risposto: “Tutto bene professore. Sono passata a salutarla”. Ho messo giù mia figlia che ha cominciato a camminare.
Lui l’ha guardata attentamente e poi ha replicato: “Vedo che non ha nessun problema. Sono contento per lei e per sua moglie. Vi faccio i miei migliori auguri”.
Gli ho risposto: “Professore, le devo dire una cosa: “Noi serviamo un Dio GRANDE E MERAVIGLIOSO”.

Mi ha sorriso mentre si allontanava. Mi hanno raccontato che giorni dopo parlava della mia famiglia e della nostra fede definendola “coraggiosa”. A noi resta la certezza che Dio è il Dio dei miracoli!
Testimonianza trascritta da un video allo scritto da:
Ferrentino Francesco La Manna

https://www.facebook.com/storiedifedevissute.blogspot.it

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