NON C’È DA STUPIRSI CHE DIO AMI L’UOMO

C’è qualcosa nell’uomo che è simile alle meravigliose prerogative di Dio.
“Guarda di fare ogni cosa a secondo del modello che ti è stato mostrato”. Esodo 25:40 Vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte.
Ora, stare sul monte vuol dire essere in comunione con Dio.
Vuol dire conoscere e comprendere, vuol dire servire ed agire, ed è certo che il nostro modello è Cristo.
Si! L’uomo è capace di sorprendenti manifestazioni di discernimento, d’intelligenza, d’amore, di compassione e di pietà verso il prossimo.
Manifesta i suoi sentimenti universali o le proprie “vibrazioni” cosmiche attraverso creazioni eccellenti, performances ispirate che spesso restano nella storia.
Sinfonie o poemi, opere d’arte o narrazioni, filosofia e altro, sentimenti finissimi che offrono ad altri la possibilità di elevarsi per un momento.
Tutto ciò non è che un tentativo ardito degli uomini di esprimere un sentimento innato, ma dimentico, di ciò che fu la nostra vicinanza a Dio, essa persiste e non può scemare, dato che il Signore è fuori dal tempo.
È la spinta emozionale che nasce da uno sconvolgimento interiore sconosciuto, che chiamiamo “ispirazione” o “creatività” o a volte “disagio” che sente la necessità di fuoriuscire, tentando di manifestare (anche se non siamo coscienti) la Gloria di Dio della quale facciamo parte.
Non c’è da stupirsi che Dio ami l’uomo, Egli è come un padre che guarda il figlio crescere da lontano, (non gli è permesso di avvicinarsi), con ansia e tenerezza.
Una passo, poi due, una parola poi un’altra, una caduta poi …un’altra.
Come vorrebbe il Signore tendere le braccia, mentre ci vede cadere, ma ormai siamo grandi abbastanza, gli poniamo una mano davanti al viso con il braccio steso fermandolo! Ferma lì! Ti voglio bene… Sono grande abbastanza…faccio da me!
No! Non c’è da stupirsi che Dio ami l’uomo…
L’uomo ha e manifesta le meravigliose caratteristiche del Padre, a piccole dosi, poi, però non riesce ad interpretarle, a spiccare il volo, dimentico della genetica paterna.
Cade dall’albero e invece di volare “zampetta” sul suolo, nel mondo… preda di tutti i suoi mali.
Crescendo ci siamo allontanati dalla ferma mano Paterna, ogni volta che abbiamo saputo di più abbiamo spostato il confine, esplorando nuovi luoghi convinti di apprendere, ma lontani dal vincolo d’amore della mano paterna studiavamo un altra materia, il mondo!
Non era lì che avremmo dovuto andare, semmai verso il padre, per conoscerlo bene, anzi meglio e avere con Lui intimità e dimorare con Lui, al fine di apprendere tutto ciò che Egli È, ciò che abbiamo di Suo e che non “possiamo” esprimere proprio perché non conosciamo chi siamo.
No! Non c’è da stupirsi che Dio mi l’uomo.
Egli ci vede ” raminghi” è disorientati come uno che vaga privo di memoria, che vorrebbe tornare a casa …ma non sa!
Ci vede esprimerci e tentare di esprimere i suoi sentimenti (che in Dio sono prerogative) toccando punti di umana eccellenza, (che è sottilissima sofferenza, poiché ci lascia percepire il distacco da Dio) esprimendo la più piccola parte del Suo amore, che è in noi e che abbiamo avuto in eredità.
Conoscere il Padre vuol dire varcare il limite delle umane emozioni (fonte della nostra sofferenza) sublimandole in Dio per vederci restituire tutti i suoi beni che ci appartengono di diritto, (non a caso abbiamo tra le mani un lascito testamentario) ai quali abbiamo stoltamente rinunciato.
Francesco Blaganò | Notiziecristiane.com
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