“Non uccidermi”, un tesserino per evitare l’eutanasia

“Non uccidermi. Io sono contrario all’eutanasia e al suicidio assistito”. Dove l’eutanasia è legale, questi tesserini identificativi sono distribuiti dai membri dell’Euthanasia Prevention Coalition (Epc). Ne parliamo con Alex Schandenberg, presidente Epc, a margine del convegno di Roma “Eutanasia e suicidio assistito; una sfida globale”.

“Do not kill me. I oppose euthanasia and assisted suicide” (Non uccidermi. Io sono contrario all’eutanasia e al suicidio assistito). È la scritta che campeggia su un bigliettino a cui vanno aggiunti a penna i propri dati anagrafici. In Canada e in altri Paesi in cui è stata legalizzata l’eutanasia questi tesserini identificativi sono distribuiti dai membri dell’Euthanasia Prevention Coalition (Epc). A raccontarlo alla Nuova Bussola quotidiana è Alex Schandenberg, presidente della Epc che venerdì scorso ha tenuto il suo intervento al convegno internazionale “Eutanasia e suicidio assistito; una sfida globale”, tenutosi a Roma all’Istituto Maria SS. Bambina, di fronte al colonnato di piazza San Pietro.

“Nel mio Paese ormai c’è anche chi si è fatto tatuare sul braccio quelle parole” ha raccontato Schandenberg, riferendo quanto sia sempre più diffuso il timore di uno strisciante abbandono terapeutico che mette in pericolo persone gravemente malate e coloro che a seguito di incidente o di un trauma improvviso devono essere rianimate. In Canada l’eutanasia è stata legalizzata solo nel 2016 ma si è già assistito ad una crescita esponenziale nel numero delle morti molto velocemente, ha spiegato Schandenberg, facendo un parallelo con le esperienze di Belgio e Olanda. Di fatti le maglie si sono allargate fino a consentire l’eutanasia per i minori, per motivi di vecchiaia, per le persone con demenza e per quelle che hanno sofferenze psicologiche. “Cosa è successo in Canada è un esempio concreto di quello che può avvenire ovunque sarà legalizzata l’eutanasia e il suicidio assistito”.

“Prima erano eutanizzati – prosegue – solo i malati terminali, poi quello che avevano una prospettiva di vita di poche settimane, successivamente quelli che avevano pochi mesi; e ora possono farne richiesta anche i pazienti stabilizzati che non hanno una prospettiva di morte a breve-medio termine. Questa evoluzione è stata molto, molto veloce!”. In Canada non è inoltre escluso che un dottore possa dare l’eutanasia ad un minore malato anche contro la volontà dei genitori, qualora il ragazzo, dopo un colloquio con lo staff medico, abbia espresso chiaramente la volontà di terminare la propria vita. “Se il dottore ritiene che il bambino abbia preso pienamente coscienza della sue decisioni, allora può consentire l’accesso all’eutanasia anche senza il permesso dei genitori”. Il tutto avviene tramite un’iniezione letale con tre diversi tipi di sostanze, una di queste è una soluzione contro le convulsioni che paralizza il corpo.

Riguardo alla diffusione dell’eutanasia in Canada ha parlato anche il dott. Paul Saba della Coalition of Physicians for Social Justice: “Dal 2016 circa 6mila cittadini del Canada sono stati uccisi con l’eutanasia e non si trattava solo di persone allo stato terminale della vita, molti infatti erano depressi”. “Il Canada ha tradito la Costituzione che parla del valore della difesa della vita, ora dicono «sì tu hai il diritto alla vita ma questo non significa che sei obbligato a vivere»”.

La Conferenza internazionale, organizzata da Mater Care, dall’Euthanasia Prevention Coalition e dall’italiana Provita e Famiglia, ha visto anche un acceso dibattitto sul tema dell’obiezione di coscienza. A tal proposito il Dott. Saba ha illustrato una cornice legislativa che potrebbe ripetersi anche in Italia: “In Canada sono esentati dall’eseguire l’eutanasia i singoli medici, ma non le strutture, quindi anche gli ospedali cattolici in teoria sono obbligati ad esaudire una richiesta eutanasica”. Ma cosa pensa il personale sanitario di questa deriva? Per farsene un’idea basta ascoltare ancora il dott. Saba: “Su oltre 100mila medici presenti in Canada, meno di 30 hanno dato la loro disponibilità ad eseguire eutanasie, questi in pratica sono diventati dei boia che girano tutto il Paese, andando dove è richiesto il loro servizio”.

Toni Brandi, presidente di Pro Vita ha chiuso la conferenza con un intervento sulla situazione italiana, mettendo l’accento sull’ambiguità delle dichiarazioni anticipate di trattamento, che vengono redatte in momenti della vita in cui nessuno può prevedere come si comporterà in una situazione di disabilità o grave malattia. Secondo Brandi un ruolo nella grande diffusione della cultura mortifera lo hanno giocato anche i media del mainstream “che riportano con pathos solo i casi isolati di persone che vogliono morire”. L’attenzione del presidente di ProVita e Famiglia si è spostata poi sulle esigenze dei malati: “La federazione delle cure palliative ha denunciato che solo il 30% dei malati di cancro ha accesso alle cure palliative e che la situazione con i pazienti pediatrici è altrettanto tragica. Certamente uccidere è più economico che curare”. Infine l’appello alla politica italiana e al governo in vista del pronunciamento del 24 settembre della Corte Costituzionale sulla depenalizzazione del suicidio assistito: “Una nazione civile deve investire sull’assistenza e la cura del dolore e della depressione, anche per creare una cultura meno materialista che emargina i più deboli e ne fa carne da macello”.

Marco Guerra | Lanuovabq.it

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