O uomo, ritorna in te

La parabola dell’umanità sta conoscendo un progressivo e inarrestabile (?) declino, ed ogni volta che pensiamo di aver toccato il punto più basso dobbiamo presto ricrederci perché c’è sempre di peggio.

Il moto del modus vivendi attivato dal desiderio da realizzare ad ogni costo sta ergendo l‘individuo a idolo di se stesso, davanti al quale tutto deve passare in secondo piano. Infatti, l’odierna società, la nostra, ha fatto dell’egoismo, del dominio e del controllo, la sua regola aurea: si deve vivere incentrando tutto sul piacere e la gratificazione, sulla riuscita e sul raggiungimento di traguardi personali, dopotutto la vita è breve ed occorre godersela fino in fondo. Di conseguenza è preponderante la propensione a mettere sempre al centro l’io e le proprie esigenze. Siamo inconsapevolmente spinti a compiere quel che vogliamo, tanto tutto è lecito, a vivere solo per noi stessi, senza mai pensare alle conseguenze che i nostri atti hanno sugli altri e quindi sul bene comune. Nessuno di noi potrebbe esistere senza gli altri.

«Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti lavoratori salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, io invece muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”» (Luca 15:17-19). Come il giovane della parabola lucana, l’uomo si allontana ogni giorno sempre più da quella legge morale, dato che negli ultimi tempi non sente più ripetere a sufficienza che si cresce e si prospera mettendo al centro delle proprie preoccupazioni gli altri. Se senza Cristo non possiamo fare nulla (Giovanni 15:5), senza gli altri siamo nulla! Probabilmente per favorire la libertà di opinioni e di scelta, chi dovrebbe insistere forse si sta lasciando imbavagliare. Ben temeva il Signore quando si domandava se il sale diventa insipido con che si darà sapore? E se la luce viene posta sotto il moggio perderà la sua natura di far luce alla stanza. Senza sale e luce, lontano da casa, le tenebre prendono progressivamente il sopravvento e l’insipidità esistenziale va via via acquisendo aspetto di normalità. E non mi riferisco solo alla chiesa, sono chiaro, ma anche a chi dovrebbe informare, indagare e difendere. Il dramma è che gli orchi siano proprio tra quelli che dovrebbero essere sale e luce. Il tutto senza alcun confine geografico. Quanto siamo finiti lontano?!

L’io conta più del noi, tanto più quando l’altro (tu), che compone il noi, non riesce a suscitare alcun interesse o emozione. Allora si può far a meno del fratello, del coniuge, del genitore, del figlio. Non solo l’abbandono, ma finanche la distruzione, la morte. Quale fatto di cronaca volete che vi citi? Ricordiamo solo l’ultimo, e fino a quando il brivido ci resta sulla pelle. Il fango dei “maiali” abbonda e sono troppi, veramente troppi quelli che vi si rotolano. Mi è difficile scegliere tra “orco” e “porco” il termine per descrivere un genitore omicida dei figli, il padre di famiglia che compra sesso da ragazzini, i coniugi che concepiscono una creatura per le loro depravazioni, il vicino che abusa del minore da accudire, chiunque violi l’infanzia di un innocente… Eppure siamo infastiditi alla cronaca, pronti a stracciarci le vesti davanti all’ultima tragedia, mentre restiamo indifferenti quando certi fatti si perpetrano sotto il nostro naso: meglio farsi i fatti propri quando l’altro è sfruttato, denigrato, derubato della dignità. Ci arrabbiamo infine quando la giustizia non infligge le pene che i colpevoli meriterebbero, perché deve attenersi a fare calcoli che nel caso esemplare non arrivano al decennio. Ci preoccupiamo di adeguare e ammodernare altre leggi pur di tutelare l’allontanamento morale, piuttosto che intimorire i mostri che vivono in mezzo a noi inasprendo le pene della pedofilia e dell’abuso. L’umanità, la nostra umanità, fa ribrezzo ai maiali, al punto che non siamo reputati degni del loro cibo.

Fuori dal porcile, tragedie si compiono perché nessuno vuole assumersi responsabilità verso gli altri, troppo difficile condividere la propria vita con chi quella vita l’ha arricchita. Ecco allora che i sentimenti svaniscono, lasciando prevalere un’egolatria da soddisfare, che riduce quella parte di noi che ci ha generato o abbiamo generato a oggetti da dominare o possedere ad ogni costo. E se qualcosa non va secondo le nostre intenzioni, vuol dire che bisogna cambiare, trovarne un altro/a, come se si trattasse di un elettrodomestico che si è guastato. Svuotare di valori contenuti la famiglia, il matrimonio, l’essere coppia, modificare il senso del sentimento “amore” a una pratica di sensi sta generando situazioni che rendono la discesa più rapida e profonda. Amore è dare, darsi, donarsi per e nell’altro. Farsi carico del dovere di sostenersi vicendevolmente, consapevoli che non tutto sarà come sognato o progettato, ma la favola sta nel continuare assieme, tenendo conto che quanto posto al centro è perno di un ingranaggio che coinvolge altro e altri. Se restiamo indifferenti, o ci inaspriamo per un po’ e poi tutto ci passa vuol dire che non solo tutti i buoi sono scappati dalla stalla, ma anche che la stalla non c’è più. Abbiamo permesso che qualcuno ci derubasse delle perle di famiglia e lo abbiamo fatto pure senza dispiacere, quasi fossimo stati liberati da un ingombro inutile. Follia! Fuori di senno, questo siamo.

Forse la decadenza potrebbe trovare un impeto di rinascita nel momento in cui provassimo gli stenti della fame. Quali appetiti ci stanno alimentando? Di cosa abbiamo veramente fame? Il giovane della parabola, provato dalla fame fisica, ricorda che a casa (nella condizione precedente) non aveva mancamento di nulla. Guardando a dove era e a chi era, “rientra in sé”. Guardare solo e soltanto avanti, a domani, non aiuterà nessuno a ritrovarsi. Eppure, sarà perché sono ottimista, sarà perché guardo al Padre della parabola rimasto ad aspettare, sarà perché oltre i suoi limiti credo che in ogni essere umano ci sia una scintilla divina, scorgo una qualche possibilità. Non voglio rassegnarmi all’idea che siamo su una strada senza ritorno, perché, se così fosse, non mi resta che aspettare il ritorno di Cristo, nuovi cieli e nuova terra. Per questo grido e prego, chiedo e invito: “O uomo, ritorna in te”.

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foto di Nadjib Aktouf, Katherine Evans, www.freeimages.com

Elpidio Pezzella | Elpidiopezzella.org

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