Occhi bendati, tappi alle orecchie: così i ragazzi imparano cos’è la disabilità

disabilità_ragazziSi chiama Gulliver ed è un progetto ideato dall’associazione Bluebook di Torino. Negli ultimi due anni, a oltre 450 adolescenti è stato chiesto di sperimentare le difficoltà sensoriali che i disabili vivono quotidianamente. “Il cambiamento è impressionante”, raccontano i formatori.

TORINO – Che cosa succede se a un adolescente tra i 14 e i 19 anni si ottundono i sensi e le capacità motorie? Se gli si chiede di camminare con gli occhi bendati, di sostenere una conversazione con i tappi alle orecchie o di muoversi senza poter utilizzare gli arti inferiori? Succede, a quanto pare, che ne guadagna in consapevolezza ed empatia. Almeno è quanto raccontano i formatori dell’Enigm Piemonte e del Cfiq di Pinerolo, due enti di avviamento al lavoro che hanno chiesto a oltre 450 ragazzi piemontesi di sperimentare le difficoltà motorie e sensoriali che fanno parte del vissuto quotidiano delle persone disabili.

Si chiama “Gulliver: un nano tra i giganti” ed è un’idea che arriva dall’associazione torinese BlueBook, che da anni si occupa di comunicazione legata al sociale.  E che, grazie a un bando regionale dell’agenzia Piemonte lavoro, ha codificato una piattaforma didattica sulle pari opportunità “a tutto tondo”, con l’obiettivo di educare i ragazzi in età scolare alla consapevolezza e al rispetto delle diversità. “Per noi – spiega Monica Pomero di Bluebook – la disabilità è solo un punto di partenza, perché rappresenta in qualche modo un paradigma di tutto ciò che percepiamo come diverso. Ma lo scopo del programma è educare al rispetto di qualsiasi differenza, sia questa relativa alla religione, alla nazionalità o all’orientamento sessuale. Una parte di questi temi è già nel programma, ma abbiamo intenzione di dedicargli uno spazio via via maggiore”.

A ispirare i promotori è stato il lavoro di un diabetologo svizzero, Jean Philippe Assal. Il quale, racconta Pomero, “era convinto che un medico non potesse relazionarsi davvero con il paziente, se prima non ne comprendeva le difficoltà. Per questo, a un convegno sull’obesità, Assal chiese a un gruppo di medici di provare a camminare indossando un giubbottino zavorrato”. Bluebook ha codificato questa filosofia in un programma didattico composto da una serie di esercizi teorici e pratici. “Nelle prime prove – spiega Pomero – cerchiamo di far comprendere ai ragazzi quanto sia relativo il concetto di abilità, e dunque di disabilità. Una volta entrati nel vivo della questione, passiamo a una lunga serie di esercizi, tutti caratterizzati da un certo spirito ludico. Chiediamo loro di sostenere una conversazione leggendo soltanto il labiale dell’interlocutore; di camminare bendati o di spostarsi da una sedia all’altra aiutandosi soltanto con le braccia, come spesso devono fare i paraplegici”.

Della sperimentazione, oltre all’associazione BlueBook, si sono occupati i formatori di Engim e Cfiq, che hanno portato il programma nei Centri di formazione e avviamento al lavoro di sette province piemontesi, oltre che nel carcere minorile “Ferrante Aporti” di Torino. A sentir loro, quegli esercizi sui ragazzi hanno un effetto “impressionante”.  “Alla fine di ogni incontro – raccontano Sabrina e Alessandro di Cfiq – gli abbiamo chiesto di scrivere, in maniera del tutto onesta, le loro impressioni su una serie di post it, che abbiamo conservato per documentarne il cambiamento. Finito il corso, quindi, abbiamo chiesto loro un feedback più approfondito. Nella maggior parte dei casi, il livello di empatia e di comprensione rispetto ai temi trattati era notevolmente cresciuto”.

Conclusa la fase sperimentale, gli ideatori di Gulliver stanno cercando di proporre il progetto alle scuole superiori. “Inizialmente – chiarisce Pomero – volevamo proporne l’adozione nei percorsi didattici annuali, ma presto ci siamo resi conto che si trattava di un obiettivo troppo ambizioso. Quindi abbiamo ricalibrato il programma, rendendolo molto più flessibile, in modo che possa essere adottato sotto forma di singoli moduli”.  Gli enti promotori, al momento, stanno prendendo contatto con molti degli istituti del territorio piemontese; ma, in attesa delle loro risposte, ci tengono a sottolineare una cosa: “a noi non interessano concetti come la pietà o la compassione” conclude Pomero. “Quello che vogliamo dai ragazzi è una maggiore consapevolezza ,e dunque un maggior rispetto. Sono concetti molto diversi, e crediamo che questi ultimi, nella società attuale, possano essere molto più utili dei primi”. Per informazioni: www.progettogulliver.it (ams)

Fonte: http://www.redattoresociale.it/

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