“Il Paese di Chernobyl” 28 anni dopo

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Il-Paese-di-Chernobyl-28-anni-dopo_mediumMentre i blindati ucraini sferragliano per le strade e si moltiplicano gli scontri con i posti di blocco dei filorussi nel “Paese di Chernobyl” è passato quasi inosservato il ricordo di quel 26 aprile del 1986, quando con l’esplosione del reattore 4 della centrale di Chernobyl avvenne la più grande catastrofe del nucleare civile della storia prima di Fukushima, che finì con il contaminare vaste aree di Russia, Bielorussia ed Europa con un’epidemia radioattiva che ha fatto ammalare negli anni persone, animali ed ambiente. Ma quello che rimane della ex centrale nucleare sovietica fa ancora paura? Per Legambiente non ci sono dubbi a riguardo: “Nel giorno del 28esimo anniversario dell’incidente di Chernobyl vogliamo esprimere tutta la nostra preoccupazione per la situazione che si sta creando in Ucraina, tanto più che questo conflitto rischia di rendere ancora più precaria la messa in sicurezza della centrale di Chernobyl e la realizzazione del nuovo sarcofago che dovrebbe ricoprire il reattore esploso il 26 aprile 1986”.

I lavori per la messa in sicurezza dell’impianto, infatti, non sono mai stati completati e vanno molto a rilento, con difficoltà anche nel reperimento delle risorse economiche, complicate ora dalla drammatica situazione nel Paese. Il reattore sventrato contiene ancora il 97% degli elementi radioattivi e il sarcofago di cemento costruito con il sacrificio dei “liquidatori” (quei 600.000, forse 900.000, giovani reclutati in tutta l’Urss per spegnere l’inferno nucleare) è ormai un rudere crepato. La costruzione di un gigantesco arco metallico alto 92 metri e lungo 245 metri destinato a ricoprirlo, iniziata nel 2010, costerà almeno 2 miliardi di dollari che saranno quasi tutti  a carico dell’Unione europea e della Comunità internazionale, visto che l’Ucraina in bancarotta difficilmente onorerà anche solo l’8% dei costi che dovevano essere a suo carico. “Chiediamo all’Europa di impegnarsi affinché le indispensabili operazioni di gestione della centrale vengano effettuate con efficienza e rapidità” ha auspicatoAngelo Gentili, responsabile di Legambiente Solidarietà in occasione di questo 28esimo anniversario. “Il reattore in pessime condizioni è una vera bomba a orologeria: bisogna agire subito per disinnescarla – ha continuato Gentili -. È necessario, inoltre, aiutare le popolazioni che vivono nell’area colpita dal disastro nucleare che stanno pagando un caro prezzo in termini sociali e sanitari”.

A rischio, infatti, sono milioni di persone che vivono in zone contaminate tra Russia Bielorussia ed Ucraina, dove i livelli di contaminazione continuano ad essere elevati soprattutto nelle derrate alimentari che costituiscono ancora oggi la dieta delle popolazioni vittime del disastro e che continuano a determinare un aumento delle patologie legate alla radioattività come tumori e leucemie in modo particolare, soprattutto nei bambini che sono i soggetti più vulnerabili. Per questo “Abbiamo il dovere di occuparci delle popolazioni colpite dal disastro facendo molta attenzione anche a ciò che sta avvenendo oggi in Ucraina, dove il controllo delle fonti energetiche rappresenta ancora la miccia di un nuovo e terribile conflitto civile” ha aggiunto il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza ricordando l’impegno dell’associazione per aiutare i bambini bielorussi con il Progetto Rugiada, che finanzia nel centro Speranza, in una zona non contaminata della Bielorussia, l’ospitalità, le terapie e i regolari  controlli sanitari di bambine e bambini (100 solo nel 2014), provenienti dalle aree più radioattive della Bielorussia.

Non deve stupire quindi se nella città ucraina di Pripyat, compresa nei 30 chilometri di raggio attorno alla centrale nucleare, “ancora oggi le famiglie, anche attraverso i loro figli e nipoti, portano i segni fisici e psicologici della contaminazione” ha spiegato l’organizzazione ambientalista Green Cross che da quasi vent’anni è impegnata in Russia, Bielorussia e Ucraina, e dal 2012 anche in Giappone, attraverso programmi medici e sociali a sostegno delle popolazioni locali. “I Therapy Camps ogni anno permettono a circa 1.000 ragazzi di vivere in un ambiente sano e pulito e di disporre di cure mediche adeguate, riducendo il livello di contaminazione tra il 30 e l’80% e coinvolgono complessivamente in attività assistenziali oltre 31.000 persone. IMother and Child Clubs, invece, sono gruppi di formazione per insegnare alle madri come ridurre i livelli di radioattività nei prodotti alimentari e interessano ogni anno più di 4.200 donne. Infine, ci sono i Mobile Bus, pulmini attrezzati che forniscono cure e consulenze mediche a bambini e famiglie in difficoltà” ha spiegato la direttrice dei programmi Maria Vitagliano, in questi giorni in missione a Chernobyl insieme ai colleghi di Green Cross Svizzera per monitorare gli interventi. Per la Vitagliano “Molto è stato fatto, ma tanto c’è ancora da fare” come per esempio “tener sempre aggiornata la mappatura dei terreni per permettere la piantumazione di alberi da frutto, per la semina degli ortaggi e delle verdure in superfici non contaminate. Allo stesso tempo devono continuare a pieno ritmo i lavori della nuova struttura ad arco progettata per sigillare il reattore danneggiato e contenere la diffusione delle radiazioni”.

Secondo uno studio condotto dalla filiale svizzera di Green Cross, “oltre 9,9 milioni di persone vivono ancora nelle aree inquinate dalle radiazioni a seguito dell’incidente: in Bielorussia il dato oscilla tra 1,6 e 3,7 milioni di persone, in Russia tra 1,8 e 2,7 milioni e in Ucraina tra 1,1 e 3,5 milioni” e non è un caso se a 28 anni dalla catastrofe, ancora oggi quando si esce da Pripyat e da Chernobyl bisogna sottoporsi a scansioni per controllare i livelli di radioattività accumulati durante la permanenza, seppur limitata, in questi luoghi. “Il disastro di Chernobyl – ha aggiunto il presidente di Green Cross Italia Elio Pacilio – rimane purtroppo presente e tangibile nelle menti e nei corpi di milioni di persone, anche oltre i confini di Pripyat, ma ciò non è bastato a fermare il nucleare. Ne abbiamo avuto prova con l’incidente di Fukushima del 2011 che, oltre a tante vittime, ha portato alla contaminazione dell’8% delle superfici agricole del Giappone. È necessario procedere a una graduale fuoriuscita dall’energia nucleare, è tempo di riprendere lo slogan fuori dal nucleare, civile e militare”.

Anche per questo “L’incidente di Chernobyl come quello più recente di Fukushima mostrano in modo chiaro non solo l’assurdità della scelta nucleare, ma soprattutto dimostrano l’impossibilità di una reale gestione e controllo delle conseguenze di tali incidenti” ha concluso Dezza ricordando come ancora oggi la tragedia di Chernobyl sia tutt’altro che finita. La nuova guerra fredda ai confini dell’Europa, infatti, potrebbe avere pesanti conseguenze per i sopravvissuti. Secondo l’ongaustriaca Global 2000, “l’Ucraina non è più nemmeno in grado di finanziare il disastrato Sistema sanitario pubblico ed alcune terapie per il cancro infantile non sono più disponibili nel nord dell’Ucraina”. Ma il conflitto tra nazionalisti e russofoni sta provocando la fuga dal Paese di diverse ong straniere, come Chernobyl Children International che ha sospeso il suo programma  di chirurgia cardiaca destinato ai bambini che era già stato finanziato con 3 milioni di euro. Inoltre in un Paese dove sono ancora in funzione diverse vecchie centrali “sovietiche”, come quella di Zaporizhzhya con i suoi 6 reattori non possiamo non chiederci anche cosa potrebbe accadere alle “Chernobyl” ucraine se davvero i blindati ucraini e russi si dovessero confrontare nel Paese. Perché se le vetuste centrali nucleari ucraine dovessero essere fermate e Mosca dovesse chiudere i rubinetti del gas, nessuno all’interno della assurda logica di questa nuova guerra saprebbe dove recuperare l’energia affinché il raffreddamento delle centrali possa proseguire.

Alessandro Graziadei

Fonte: http://www.unimondo.org/

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