Ancora sangue a Peshawar, ma i cristiani pregano per la pace nel Paese. Ieri mattina un’autobomba ha colpito il mercato cittadino, poco distante dalla chiesa protestante, teatro della strage del 22 settembre. Almeno 33 morti e 70 feriti nel terzo attentato in pochi giorni. Peshawar – Ancora sangue e violenze a Peshawar, capoluogo della provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa, teatro nell’ultima settimana di tre attentati suicida di matrice islamista. Ieri mattina un’autobomba piazzata nel mercato cittadino è esplosa all’ora di punta, uccidendo 33 persone e ferendone oltre 70. Al momento dello scoppio, nella vicina chiesa protestante teatro della strage del 22 settembre scorso, si stava svolgendo una cerimonia di adorazione; i fedeli hanno abbandonato il luogo di culto, nel timore di un nuovo attacco anti-cristiano. Un testimone, Zubair Yousaf, racconta all’agenzia di stampa AsiaNews: “Eravamo in chiesa e stavamo pregando, quando due forti esplosioni hanno fatto tremare le mura. Mi sono subito balzate alla mente le immagini terribili di domenica scorsa. Siamo usciti per capire cosa stesse succedendo; era tutto così improvviso, gente che urlava disperata. Ci siamo diretti verso il mercato, cercando di aiutare le persone in difficoltà”.
L’attentato di ieri è il terzo in una settimana a Peshawar, in una spirale di violenze che autorità e forze di polizia non sembrano in grado di arginare. In pochi giorni sono morte oltre 200 persone, di cui 175 nell’attacco alla chiesa protestante del 22 settembre. Centinaia i feriti, che si sommano ai dispersi di cui non si ha più traccia. A sette giorni dall’attacco alla All Saints Church, infatti, mancano all’appello 18 bambini e 13 ragazzine di età compresa fra i 13 e i 17 anni. Dal 2009 a oggi il bazar di Kisa Khawani, dove ieri mattina è esplosa l’autobomba, ha subito almeno 13 attacchi; le autorità hanno aumentato i livelli di sicurezza nei luoghi sensibili, fra cui chiese, mercati ed edifici governativi.
Finora nessun gruppo ha rivendicato l’attacco, anche se il governo punta il dito contro i talebani pakistani e i movimenti islamisti affiliati alla galassia del terrorismo a sfondo confessionale. Il premier Nawaz Sharif ha proposto negoziati con i leader fondamentalisti, ma le precondizioni poste al dialogo – deposizione delle armi e fine della carneficina – sono state respinte al mittente. Per il portavoce del Tehreek-e-Taliban la richiesta di disarmo è segno della “mancanza di serietà” del Primo Ministro. Il ministro degli Interni Nisar Hussain parla di “alcuni elementi” che vogliono “destabilizzare la regione” senza peraltro specificare quali.
George Masih, vittima anche lui dell’attentato, racconta: “Mio padre e mia madre sono tuttora ricoverati in condizioni critiche, mio fratello di otto anni è in un centro specializzato a Islamabad ed è stato sottoposto a intervento chirurgico. Ancora oggi siamo in preda allo shock”.
Preghiamo per la pace. Colpire persone innocenti è un atto codardo. Per le persone coinvolte nella strage è cambiato tutto, non potranno più essere le stesse. Il Pakistan è a un crocevia, dobbiamo unirci e condannare senza mezzi termini il terrorismo.
Da Asianews.it
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