Paura Malaria, non c’entrano né clima né immigrati

La notizia della morte di una bambina per sospetta Malaria è deflagrata sui media in modo davvero clamoroso. Come accade ogni volta che si verifica un caso di malattia infettiva trasmissibile, l’allarmismo si diffonde rapidamente, accompagnato da narrazioni molto imprecise per non dire confuse.

I fatti ci dicono che una bambina trentina di quattro anni è deceduta a causa di un sospetto caso di Malaria. Questo nome è uno di quelli – come la Meningite- capaci di evocare terrori e paure ataviche.

Ma la Malaria ha delle caratteristiche ben precise, così come la storia della lunga lotta contro questa malattia che era conosciuta già ai tempi degli antichi Romani, che furono i primi ad affrontarla efficacemente attraverso opere di bonifica delle paludi. La malattia infatti è nota anche come paludismo, ed è una parassitosi – la più diffusa e letale che esista – provocata dalla puntura di un tipo particolare di zanzara, il tipo Anopheles, che trasmette con la sua puntura un parassita detto Plasmodium in grado di provocare gravi danni all’organismo, a livello epatico, renale, cerebrale.

Ogni anno la Malaria causa nel mondo centinaia di migliaia di morti, nell’Africa sub sahariana, in Asia, nel bacino amazzonico. Un tempo – peraltro non troppo lontano – questa malattia era diffusa anche in Europa, e in modo particolare in Italia. Nelle paludi del Lazio, in particolare, ma anche in molte altre zone della penisola dove ci fossero acque stagnanti, compresi i piccoli laghetti della Lombardia, la regione che diede i natali nell’800 a Giovanni Battista Grassi, il geniale e dimenticato scienziato che scoprì i fondamentali meccanismi di trasmissione ponendo le basi per la vittoriosa lotta contro la malattia. Una vittoria dovuta alle opere di bonifiche e all’uso di insetticidi, alcuni dei quali oggi non sono più in uso (vedi il Ddt).

Questo presunto caso di Malaria dunque ha scatenato una ridda di commenti e ipotesi molti dei quali lasciano davvero perplessi. Dal momento che la bambina non sembra essere stata in tempi recenti in Africa, in Estremo Oriente o nel bacino amazzonico, c’è chi ha parlato di un caso “autoctono”. Sarebbe a dire che la Malaria è tornata sulle nostre sponde. Come può essere accaduto?

C’è stato subito chi ha trovato modo di incolpare i cambiamenti climatici, il surriscaldamento globale, che avrebbe portato a condizioni di tipo “tropicale”. In realtà, come abbiamo detto, la Malaria è stata presente per secoli in climi come quelli dei laghi prealpini o della pianura padana. Dall’altra parte c’è chi lancia accuse altrettanto rapidamente sui possibili “colpevoli” della trasmissione della malattia, nella fattispecie i migranti. In realtà non c’è trasmissione interumana della malattia, con l’eccezione della donna gravida che la può passare al proprio figlio. Prima poi che ci sia la solita corsa al vaccino, bisogna dire con molta chiarezza che la vaccinazione per la Malaria non esiste. Forse si potrebbe anche lamentare il fatto che in questo settore non sono stati fatti gli investimenti necessari. Quindi niente vaccino, ma profilassi con farmaci ad hoc per chi si rechi in Paesi dove la malattia è presente.

Ma torniamo alla Malaria sedicente italiana. Davvero può essere una forma autoctona? Decisamente improbabile, se non impossibile. Quel tipo di zanzara da noi non esiste, anche se non è escluso che possa arrivarvi. Il vero problema quindi è un altro. Oltre alla modalità classica di trasmissione, con puntura di zanzara Anopheles, esistono anche altre possibilità di contrarre tale malattia. In primo luogo per somministrazione di sangue infetto: tipico il caso di trasfusioni del sangue, per incidenti o per malattie ma anche per lo scambio di siringhe infette comune per i tossicodipendenti; tale metodologia di diffusione compare infatti spesso nei paesi africani dove l’AIDS si manifesta spesso insieme alla Malaria.

Naturalmente la bambina trentina non sembra rientrare in questa casistica. Decisamente più imputabile è la cosiddetta “Malaria da aeroporto”: zanzare infette che provengono dai paesi epidemici possono infettare persone che provengono da altri paesi non soggetti normalmente all’epidemia. Il primo caso documentato si è avuto nel 1977, e da allora si sono registrati quasi un centinaio di casi nella sola Europa, e molti altri negli Stati Uniti.

Anziché allora gridare al “caso autoctono”, sarebbe bene spostare l’attenzione su questa possibilità. La Sanità Aeroportuale svolge un importante compito di vigilanza sui materiali che provengono da Paesi dove la Malaria è endemica, dalle casse ai container, ma evidentemente l’aumento massiccio di materiali in arrivo, così come di persone, può mettere a dura prova il cordone sanitario esistente.

Se la Malaria dovesse tornare in Europa sarebbe solo attraverso questa modalità. Un ulteriore esito della globalizzazione, della circolazione incontrollata. Se la zanzara Anopheles che per ora può arrivare come pericolosissima clandestina in queste circostanze occasionali, non dovesse trovare le necessarie barriere igienico-sanitarie per essere fermata, potrebbe anche trovare delle condizioni in cui adattarsi, diffondersi e moltiplicarsi, e allora sì che dovremmo affrontare il ritorno di un antico nemico che credevamo sconfitto.

di Paolo Gulisano | Lanuovabq.it

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