Perché Dio permette delle tristi esperienze anche ai cristiani consacrati a Lui?

uid_149d2bb7e9c-650-340La domanda è più che mai naturale, soprattutto se si considera “l’idea religiosa” comunemente accettata che sofferenza, dolori e lutti colpiscono soltanto i malvagi. Spesso si sente dire: “Ciò che è accaduto Dio non doveva permetterlo, perché quel cristiano non lo meritava”. Oppure: “Gli sta bene, il Signore Io ha punito”.

È questa la posizione che i cristiani devono assumere di fronte al problema della sofferenza? Dopo migliaia d’anni, si sentono dare ancora spiegazioni razionalistiche alla sofferenza come quelle espresse dai tre amici di Giobbe, dimenticando però che Dio giudicò molto duramente le loro opinioni, infatti è scritto: “L’Eterno disse ad Elifaz di Teman: ‘L’ira mia è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me secondo la verità’ …” (Giobbe 42:7).

Sono stati versati fiumi d’inchiostro per cercare di risolvere in modo razionale il problema della sofferenza. Ultimamente ha avuto un grande successo il libro, divenuto un best-seller negli Stati Uniti, scritto da un rabbino ebreo, dal titolo: “Quando il male affligge la gente buona”.
L’opera, diffusa in più di 50.000 copie, ha creato problemi a molti cristiani che non hanno tenuto conto degli avvertimenti dei responsabili dell’editoria evangelica, i quali avevano dichiarato che il libro non presentava la sana dottrina della teologia cristiana riguardo alla sofferenza.

Le diverse opinioni sul problema della sofferenza possono essere riassunte nel modo seguente:

L’IPOTESI DELLA COLPA
Questa tesi sostiene che le esperienze dolorose dell’esistenza sono legate alla disubbidienza a Dio e alla Sua Parola. “Forse abbiamo fatto qualcosa di male”, dice qualcuno, “forse non abbiamo pregato abbastanza”, dice qualche altro. Il Signore quindi avrebbe punito in conseguenza di una omissione o di un peccato commesso.
Questa teoria superstiziosa, prodotta dal senso di colpa, è certamente anticristiana e antibiblica. Perché, se Dio dovesse punirci per i nostri errori o per le nostre omissioni, allora tutti i cristiani non potrebbero godere neanche un istante di pace, di salute e di serenità.
L’idea di un Dio vendicatore, pronto a giudicare e a condannare, è prettamente umana ed è retaggio di una concezione superstiziosa e pagana. Essa rivela l’assoluta ignoranza di chi non conosce il proprio Creatore e Salvatore.
Se è vero che l’Antico Testamento letto superficialmente, ci presenta il Signore come giudice, basta soffermarsi un po’ sulle pagine della Scrittura, per notare che l’Eterno concede sempre amorevolmente agli uomini la possibilità ed il tempo per ravvedersi e poi, quando questi rifiutano il Suo messaggio d’amore, allora cade su loro l’inevitabile conseguenza della ribellione. Nessuno potrà mai affermare che la sofferenza è sempre effetto immediato del peccato, senza esprimere un giudizio che esuli dalle nostre competenze e che spetta soltanto a Dio.

L’IPOTESI DELL’ORGOGLIO
È quella secondo la quale se non accade alcun inconveniente e non si soffre, i cristiani, così preservati e liberati dal male, sono onorati dalla speciale protezione di Dio perché buoni e meritevoli. Non si può negare che Dio interviene a favore dei credenti che desiderano seguirLo per fede. I testi biblici portati a sostegno di questa teoria sono molti. Ecco il più famoso: “L’Angelo dell’Eterno s’accampa intorno a quelli che lo temono, e li libera” (Salmo 34:7).
Questo testo è ripetuto fuori del suo contesto per affermare che mai nulla di male avverrà ai “buoni”. Invece, tutto il Salmo e tanti altri versetti biblici provano che non i “buoni”, ma i fedeli a Dio non sono esenti da afflizioni e dolori.
Basta leggere il Salmo 34 per intero, ed in particolare i primi dieci versetti, per notare che il tema è la lode e la gratitudine al Signore per le liberazioni ottenute: Davide era spaventato (v. 4), afflitto (v. 6) ed in distretta (v. 6), ma è stato “liberato” dall’Eterno, “illuminato”, “esaudito”, “salvato” e “soddisfatto”.
L’opinione che quando non si incontrano difficoltà vuol dire che Dio approva l’operato dall’uomo è in contrasto con tutto l’insegnamento biblico ed è pericolosa in quanto lascia spazio all’idea delle opere meritorie e scatena l’orgoglio religioso in coloro che, “non avendo problemi”, pensano di poter guardare dall’alto in basso tutti gli altri e giudicarli.

L’IPOTESI DELLA SPIRITUALITÀ
Questa opinione è opposta alla precedente ed afferma che chi soffre è vicino a Dio. Spesso si sente dire che le persone più sono consacrate e più soffrono, perché soltanto così l’Eterno può usarle.
Naturalmente, il concetto di “spiritualità” è tanto personale e diverso, ma l’idea che chi soffre di più è anche più spirituale, non è collegata forse a quel concetto di falso “misticismo” tanto caro a certa letteratura religiosa che tratta della vita dei cosiddetti “santi”? Gli “stecchi nella carne”, come quello di Paolo, le debolezze fisiche, i dolori morali non possono da soli dare a nessuno il “carisma” della spiritualità o di una presunta superiorità.
La vera fede cristiana, secondo l’Evangelo, non ha bisogno di “santoni” o di “capi carismatici” che attraggano l’attenzione della gente.
Cristo è l’unico modello perfetto dei veri cristiani. Le nostre sofferenze non potranno mai eguagliare le Sue. Egli ha sofferto per noi per condurci al Padre e questo è sufficiente per la nostra salvezza.
Tutto il travaglio e l’angoscia, anche dei cristiani più consacrati, non potranno mai essere di beneficio ad altri. Per coloro che credono in “Tutto l’Evangelo” è sufficiente l’opera che Gesù ha compiuto sulla croce, perché soltanto “per le Sue lividure abbiamo ottenuto la guarigione”.

L’IPOTESI DEL FATALISMO
È la più comune nel mondo contemporaneo in quanto, eliminando il concetto della sovranità di Dio nella creazione, afferma che, come parte dell’umanità, siamo tutti eredi di alcune realtà universali quali il male morale, le sofferenze e la morte.
Cristiani e non cristiani soffrono, si ammalano e muoiono, e non c’è differenza tra l’uno e l’altro; quindi, secondo la tesi fatalista, non possiamo fare nulla a riguardo, ma soltanto subire.
Questo concetto non è fondato sulle Scritture, ma sull’idea che Dio abbia creato il mondo per poi abbandonarlo a sé stesso, come chi carica un orologio che poi continua autonomamente a funzionare. Questa concezione deistica è in netto contrasto con l’Iddio della Bibbia, l’unico vero Dio, che si è manifestato in Cristo e si rivela ancora per l’azione dello Spirito Santo.
Certamente come figli di Adamo “… sappiamo che fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, …” (Romani 8:22, 23).
Siamo anche certi, però, che Dio è anche pronto ad esaudire e a liberare perché e scritto: “… invocami nel giorno della distretta: io te ne trarrò fuori, e tu mi glorificherai” (Salmo 50:15).

LA POSIZIONE EQUILIBRATA
Se le teorie precedenti sono inaccettabili alla luce di tutto l’insegnamento delle Scritture, come è possibile spiegare il problema della sofferenza? Prima di tutto bisogna riconoscere che la sofferenza ha un “ministerio”. Dio la permette per ragioni diverse, talvolta inspiegabili, ma, come cristiani, riconosciamo che Egli ha la libertà di agire in noi per at-tuare il Suo piano.
Il programma divino non si limita al tempo, ma riguarda l’eternità. Se soltanto si considera questo fattore, allora si ritroverà la serenità in ogni situazione.
Inoltre, chi può sapere con certezza ciò che è veramente “bene”? L’unico vero “bene” è quello che scoprì Davide: “… quanto è a me, il mio bene è d’accostarmi a Dio; …” (Salmo 73:28).
Per “bene” un dizionario dà la seguente definizione: “Qualità di ciò che è buono, o utilità o vantaggio”. Ma come si può riconoscere veramente ciò che è buono ed utile? Tutto è collegato alla visione individuale dell’esistenza, se la concepiamo in senso “orizzontale”, vale a dire ritenendo questa vita come fine a sé stessa, oppure in senso “verticale”, cioè considerandola soltanto in preparazione della vita vera, quella eterna.
Come cristiani, certamente, accettiamo il concetto “verticale” della vita ed allora tante situazioni penose, che dal punto di vista terreno sono considerate negative, si potranno concepire come positive sul piano eterno.
Quanti hanno letto il libro “Joni” potranno ben apprezzare questa differenza. Com’è possibile che una ragazza con un gravissimo “handicap”, come quello della perdita totale dell’uso degli arti inferiori e superiori, possa essere felice e svolgere con gran successo un attivissimo servizio cristiano? La spiegazione si trova proprio in questo concetto “verticale” della vita che le ha permesso di usare la propria menomazione fisica come “un trampolino di lancio” per una feconda opera d’incoraggiamento cristiano rivolta a milioni di persone. Un’esperienza apparentemente tanto negativa è divenuta, alla luce dei valori eterni dell’esistenza, positiva per lei e per gli altri.
Invece di chiederci “perché Dio lo ha permesso?”. Invece di indagare sulle cause delle esperienze negative, chiediamo al Signore di farci scoprire serenamente gli effetti positivi, e se fino ad allora ci siamo consumati in ipotesi e teorie, gettiamo ora le nostre sollecitudini ai Suoi piedi ricordando che sotto di noi “… stanno le braccia eterne” (Deuteronomio 33:27).

Francesco Toppi

Ferrentino Francesco La Manna | Notiziecristiane.com
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