Perché farsi male?

Il cercare la “trave nel proprio occhio”, “riscoprire i propri talenti”, il “tornare bambini” sono solo degli esempi suggeriti da Gesù a farci volgere lo sguardo all’interiorità. Un guardarsi che ha come obiettivo un duplice aspetto; la propria conoscenza e l’apertura agli altri: «ama il prossimo tuo come te stesso» (Matteo, 22,37). Come un profondo psicoterapeuta (P. Riccardi, Parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo, ed. Cittadella Assisi, 2016). Gesù apre l’uomo alla sua dimensione interiore, spirituale. Vita interiore che è elemento di crisi nell’epoca del terzo millennio dove la multimedialità, l’internet, i social aprono sempre una finestra sull’esterno e poco su se stessi. Siamo, senza volerlo, immersi in una spirale del grande fratello con lo sguardo rivolto all’esterno a spiare le intimità degli altri e a credere alle fake news (notizie fasulle). E altri che si prestano al gioco del mercificare la propria vita emotiva, intima, sentimentale. Non si può inoltre tacere ad una certa pornografia dell’anima, dell’esibizione dell’intimo, della scomparsa del pudore, della spettacolarizzazione dei conflitti familiari ecc.. . Questo tipo di cultura social-tecnologica provoca l’ipertrofia dell’io offuscando le sensazioni di se. Ne va di mezzo la vera libertà di ognuno nel percepirsi, ascoltarsi e sentirsi vivo. Soprattutto nei primi anni dell’adolescenza, fan presa questa cultura della pornografia del’anima. I cambiamenti che si verificano a livello cerebrale, degli adolescenti, predispone alla comparsa di quattro caratteristiche mentali: ricerca di novità, coinvolgimento sociale con i coetanei, maggiore intensità emotiva e l’esplorazione creativa (Daniel J. Siegel La mente adolescente, Feltrinelli 2014).

Questi elementi se non guidati, educati, controllati comportano rischi. Dal Blackout challenge (lanciarsi e saltare nel vuoto) ai selfie estremi, dalle gare in auto a tutta velocità, fino ai comportamenti autolesionisti. Veri e propri comportamenti che sfidano il pericolo, la morte. Sfida che non contempla il senso del coraggio e del rispetto di se, ma che evidenziano disturbi che possono appartenere allecondotte dell’autolesionismo sempre più frequenti. L’autolesionismo è il danneggiamento del proprio corpo attraverso lesioni autoinflitte dirette e intenzionali. Ne soffrono soprattutto adolescenti e giovani adulti, con un’incidenza del 15-20% (Ross et al., 2002), mentre tra gli adulti la percentuale si attesta al 6% (Briere & Gil, 1998; Klonsky, 2011). La condotta è indirizzata verso il proprio Sé e ha, come oggetto da aggredire il proprio corpo come automutilazioni, tentativi di suicidio, il cutting (tagliarsi la pelle e farsi delle scritte con lamette o qualsiasi altro oggetto contundente) il burning (bruciarsi la pelle), gravi disturbi alimentari, abuso di alcol o droghe, frequenti incidenti stradali, body modification e sport estremi, piercing e i tatuaggi eccessivi. Esse rappresentano, a livello di psicologia del profondo, una modalità simbolica di prendere possesso del proprio corpo, nonché tentativo di controllare, padroneggiare affrontare una situazione con coraggio. Il corpo diventa luogo simbolico di espressione di un senso di vuoto, di nullità, di alienazione. I dati ottenuti in ricerche sulle condotte auto-aggressive hanno portato al riconoscimento diagnostica di tre criteri di comportamenti patologici, riconducibili a tre categorie principali:

  1. Condotte di auto-danno, come l’abuso di sostanze psicoattive, la sessualità promiscua e il gioco d’azzardo,

  2. Condotte di auto-avvelenamento, come l’ingestione di sostanze tossiche e l’overdose di droghe,

  3. Condotte autolesive, come tagliarsi e bruciarsi (DSM 5).

Al di la dei criteri il corpo, l’immagine di se rappresenta l’oggetto di investimento delle proprie confusioni ideative ed emotive. Si potrebbe dire che la messa in atto di comportamenti autolesivi sia un tramutare in sofferenza fisica una sofferenza emozionale che non si sa come gestire. Assumere, pertanto, valenza di una strategia disadattava di reazione al disagio. Serve una cultura del rispetto di se, che ci insegna ad apprezzarci per quello che siamo e come siamo. Del resto sono proprio le persone semplici, comuni, con le fragilità e i difetti.

«Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9)

Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com

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