Portare uno spiraglio di speranza

Un giorno una parola – commento a I Tessalonicesi 5, 5.

Venite, e camminiamo alla luce del Signore! Isaia 2, 5

Voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre I Tessalonicesi 5, 5

Il grande giornalista e viaggiatore polacco Ryszard Kapuściński racconta che chi accende un falò nella savana non si comporta come ci immagineremmo: non si accomoda attorno al fuoco, illuminato e in piena vista, ma nel cono d’ombra circostante, così da poter vedere chi si avvicina senza essere immediatamente visto, perché la notte può riservare brutte sorprese. Noi conosciamo ormai da sempre un mondo provvisto di luce elettrica, un’energia che fende le tenebre al semplice tocco di un interruttore: non potremo mai capire realmente come poteva essere il rapporto con l’inevitabile scorrere del giorno e della notte delle generazioni che hanno vissuto senza questa opportunità. Tenebre totali, impossibilità di vedere alcunché a livello del terreno per molte ore, angoscia che deriva dall’essere circondati da suoni misteriosi, impenetrabili, minacciosi: forse solo chi ha provato a campeggiare in un bosco isolato lo può intuire. Le parole su luce e tenebre, presenti praticamente in tutto il Nuovo Testamento, nascono da quel mondo, che non è più il nostro ma non per questo è incomprensibile. Quando l’apostolo Paolo afferma che i cristiani sono figli e figli della luce non ci offre una metafora poetica per ricordarci quanto dovremmo risplendere in una condizione ideale, ma descrive quel che possiamo già fare oggi: offrire al mondo ciò che la luce portava con sé – rassicurazione, fiducia, calore. Non è mai stato un compito facile: se le tenebre circondavano città e campagne del I secolo, noi siamo esposti ad altre forme di oscurità, non identiche ma non per questo meno spaventose. Sarebbe rassicurante semplificare, personalizzare le due parti, dividere il mondo in parti nette, noi i buoni, gli altri i cattivi. Ma dire tenebre non significa attribuire a qualcuno la malvagità: implica riconoscere che la vita è un’esperienza complessa, in cui purtroppo è normale sentirsi minacciati, disperati e non amati. Ma noi, anche noi, possiamo già portare uno spiraglio di speranza, ricordare e mostrare che il buio e le sue conseguenze non sono l’unica possibilità che ci è data: una luce calda e rasserenante può squarciare le tenebre che terrorizzano tutti, anche chi può accendere la luce elettrica col tocco di un dito.

di Gregorio Plescan | Riforma.it


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