Punjab: cristiano a processo con false accuse di blasfemia, la famiglia costretta a fuggire

PAKISTAN_-_leggi_blasfemia_ok

PAKISTAN_-_leggi_blasfemia_okQuesta mattina il tribunale ha respinto la richiesta di rilascio su cauzione. L’uomo avrebbe offeso l’islam durante una discussione con un musulmano sulla Bibbia e il Corano. I parenti vivono nascosti nel timore di ritorsioni. Sacerdote a Lahore: accuse false, vittima di un raggiro.

Islamabad (AsiaNews) – Questa mattina un tribunale pakistano ha respinto la richiesta di rilascio su cauzione di un 60enne cristiano con l’accusa di blasfemia, sebbene egli sia innocente e non abbia commesso alcun crimine. Per la sua liberazione si sono mossi attivisti e movimenti della società civile, sinora invano. Intanto la famiglia ha dovuto abbandonare il villaggio di origine, nel timore di ritorsioni come spesso accade quando un congiunto è accusato in base alla “legge nera”.  Naja Masih, addetto alle pulizie in uno speciale istituto per non vedenti di Bahawalpur, nella provincia del Punjab, è stato arrestato ad agosto per una presunta vicenda di blasfemia, in base all’art. 295 A del Codice penale pakistano. Secondo il querelante, un barbiere musulmano di nome Shahid Mehmood, egli avrebbe offeso l’islam e il Corano.

Testimoni locali riferiscono che il 23 agosto scorso Masih e Mehmood – che si frequentavano spesso – avrebbero discusso di religione, mettendo a confronto il Corano e la Bibbia. Parlando del profeta Lot, il 60enne cristiano – che non conosce nemmeno l’esistenza di leggi sulla blasfemia – avrebbe offeso l’islam; per questo il barbiere musulmano ha denunciato l’uomo alla polizia, che senza nemmeno appurare i fatti lo ha arrestato e condotto in una località segreta, senza avvisare i familiari.

La moglie Nargis Bibi e i figli – Yaqoob Masih 30 anni, Ashraf Masih 28 anni, Anwar Masih 24 anni e Sunny Masih, di 26 anni – hanno cercato a lungo di interpellare le autorità per avere informazioni, ma senza risultato. Intanto essi hanno dovuto lasciare la casa e il villaggio di origine e ora vivono nascosti per paura di attacchi o violenze della comunità musulmana della zona. Dopo diversi giorni, la moglie è riuscita a incontrare il marito e lo ha trovato in condizioni “devastate”, ignaro di quanto fosse accaduto e del perché si trovi in carcere. “Non abbiamo fatto nulla – afferma Nargis – e preghiamo perché qualcuno ci aiuti”.

Interpellato da AsiaNews p. Yaqoob John, attivo nei casi riguardanti la blasfemia, sottolinea che “le nostre fonti hanno confermato che si tratta di false accuse” e che Masih è stato “raggirato”. Egli si rivolge alle autorità perché intervengano e assicurino “la sicurezza di questa famiglia” e chiede preghiere per quanti sono perseguitati “a causa della fede”.

Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo e  seconda fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Gli attacchi contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation. Decine gli episodi di violenze, fra attacchi mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre scorso) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia BibiRimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch’egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.

Fonte: http://www.asianews.it/

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