
Quando Dio si diverte
C’è un pregiudizio duro a morire: quello secondo cui la religione e l’umorismo sarebbero incompatibili come l’acqua e l’olio. Dio sarebbe un severo contabile celeste, sempre pronto a prendere appunti sui nostri peccati, e i santi sarebbero individui così immersi nell’estasi da non accorgersi nemmeno se gli cade il cappello. Niente di più falso. Basta aprire la Bibbia o sfogliare le vite dei santi per scoprire che il Padreterno ha un senso dell’umorismo raffinatissimo, e che molti dei suoi migliori amici sulla terra sono stati dei veri e propri mattacchioni.
Cominciamo dall’inizio. Adamo ed Eva si nascondono dietro gli alberi dopo aver fatto il pasticcio con la mela. Arriva Dio che fa una passeggiata nel giardino – evidentemente aveva l’abitudine di fare due passi la sera per digerire – e chiama: «Adamo, dove sei?» (Gen 3,9). Domanda retorica, naturalmente. L’Onnisciente sapeva benissimo dove si trovavano i due fuggiaschi. Ma voleva vedere fino a che punto potevano spingersi nel ridicolo. E infatti Adamo, invece di battere un dignitoso mea culpa, se ne esce con la perla: «La donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato» (Gen 3,12). Tradotto: è colpa sua, anzi è colpa tua che me l’hai data. Il primo caso di scaricabarile della storia umana. Dio doveva essere scoppiato a ridere, anche se i teologi non lo dicono.
Abramo e la risata di Sara
Ma il vero campione dell’umorismo divino è Abramo. Novantanove anni, moglie Sara di novanta, e Dio che gli promette un figlio. La reazione di Abramo è da manuale: «Si prostrò con la faccia a terra e rise» (Gen 17,17). Ride prostrato, che è un’acrobazia non da poco. E pensa tra sé: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novanta anni potrà partorire?». Domanda legittima, direi.
Quando poi i tre angeli confermano la notizia, Sara – che origliava dietro la tenda – «rise dentro di sé» (Gen 18,12). Ride dentro, mica fuori. Aveva ancora un briciolo di educazione. Ma Dio la sente lo stesso e chiede: «Perché ha riso Sara?». Lei nega: «Non ho riso». E Dio: «Sì, invece hai riso» (Gen 18,13-15). Scena da commedia, con tanto di battibecco tra il Creatore e la creatura. Quando poi nasce il bambino, lo chiamano Isacco, che significa “riso”. Il primo bambino della storia il cui nome celebra una barzelletta divina.
G.K. Chesterton, che di umorismo se ne intendeva, scrisse: «Gli angeli possono volare perché si prendono alla leggera». Forse aveva ragione. Di certo, Dio si prende alla leggera le nostre pretese di serietà.
Elia e i profeti di Baal: satira biblica
Ma il campione assoluto dell’ironia biblica è il profeta Elia. Siamo sul monte Carmelo, sfida all’ultimo sangue tra il profeta del Signore e i 450 profeti di Baal. Questi ultimi preparano il loro sacrificio e cominciano a invocare il loro dio perché mandi il fuoco. Niente. Gridano più forte. Niente. Si feriscono con coltelli e lance. Niente.
A questo punto Elia non resiste e attacca: «Gridate più forte, perché è un dio! Forse è soprappensiero o indaffarato o è in viaggio; o forse dorme e bisogna svegliarlo» (1Re 18,27). Tradotto in termini moderni: forse il vostro dio è in bagno, o in riunione, o in vacanza, o sta facendo la pennichella. Sarcasmo puro, che avrebbe fatto invidia a Voltaire.
Poi tocca a Elia. Fa scavare un fossato intorno all’altare, ci versa sopra tanta acqua che il fossato si riempie, e invoca il Signore. Fuoco dal cielo, sacrificio consumato, acqua evaporata. Spettacolo pirotecnico garantito. I profeti di Baal fanno una brutta fine, ma la lezione di comunicazione è servita. Elia aveva capito che per convincere la gente bisogna prima farla sorridere.
Gesù e l’umorismo divino
Chi pensa che Gesù fosse un personaggio tutto lacrime e sospiri non ha mai letto attentamente i Vangeli. Il Figlio di Dio aveva un senso dell’umorismo sottile e penetrante, fatto di ironia intelligente e di paradossi illuminanti.
Prendiamo la famosa frase sulla trave e la pagliuzza: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Mt 7,3). L’immagine è volutamente comica: uno che cammina con una trave infilata nell’occhio e fa il pignolo per una pagliuzza. Gesù voleva che la gente ridesse, per poi riflettere.
O la parabola del cammello e della cruna dell’ago: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Mt 19,24). I suoi ascoltatori dovevano immaginare un dromedario che cerca di infilarsi in un buco microscopico. Immagine surreale, che però fa centro meglio di qualsiasi trattato di teologia morale.
E che dire di Zaccheo? «Cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura» (Lc 19,3). Piccolo di statura ma grande di curiosità. Così si arrampica su un sicomoro. Gesù lo vede e gli dice: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scena da film comico: il pubblicano che scende dall’albero tutto imbarazzato e la folla che mormora scandalizzata.
Henri Bergson, il filosofo del riso, osservò che «il riso nasce quando si scorge qualcosa di meccanico incrostato sul vivente». Gesù aveva capito che l’umorismo è una forma di intelligenza, e che far ridere la gente è il modo migliore per farla pensare.
Davide Romano
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