La certezza cheabbiamo quest’oggi è che siamo veramente in un’epoca strana. Da una parte schiere di medici, filosofi e opinionisti spiegano che a breve la morte verrà sconfitta. Potremo vivere sino a 120 anni, ha dichiarato più volte Umberto Veronesi; si stanno aprendo dinanzi a noi prospettive nuove, inaudite, l’allungamento indeterminato, forse addirittura l’immortalità, scrivono lo storico e giornalista Aldo Schiavone nel suo Storia e destino e il biologo Edoardo Boncinelli nel suo Verso l’immortalità?.
Le “Terre nuove e cieli nuovi” del Vangelo divengono sinonimo di onnipotenza tecnologica e medica, e in molti parlano di una nuova “Terra Promessa”, intendendo appunto questo pianeta Terra, e l’immortalità su di esso.
Extended life, eternal life: così si intitolava un simposio di 150 scienziati e filosofi svoltosi in America nel 2000. Fioriscono, contemporaneamente, le società di crionica, per il congelamento dei defunti, in vista di un loro futuro risveglio; prendono piede estropiani e transumanisti, che ritengono che la tecnica possa condurre l’uomo all’onnipotenza e all’immortalità; migliaia e migliaia di americani ingurgitano sempre più volentieri l’ormone della crescita, la somatropina, perché allungherebbe la vita e renderebbe più forti, un po’ come l’antico elisir di giovinezza. Politici e scienziati promettono miracoli indicibili tramite la terapia genica e le cellule staminali embrionali, senza per il vero che sino ad ora si vedano grandi risultati. Ebbene, nello stesso tempo, talvolta le stesse identiche persone che prospettano queste “magnifiche sorti e progressive”, simili a mio parere ai “costruttori di Dio” che nella Russia comunista imbalsamarono Lenin sperando poi di poterlo risvegliare, per sempre, grazie alle scoperte scientifiche, devono affrontare i terribili casi di una Terry Schiavo o di una Eluana Englaro. Devono confrontarsi col fatto che la stessa medicina cui viene affidato l’incarico, oggi, da molti, di fungere da ultima utopia, non è onnipotente, ed anzi, talvolta, lungi dal risolvere ogni problema, ci mette dinanzi a dilemmi terribili.
Abbiamo il dominio della vita? Credo proprio di no!, L’esempio di quello che è stata Eluana Englaro, questa ragazza che da anni era alimentata tramite sondino, è un richiamo terribile alla realtà: nessuna immortalità terrestre, per fortuna, ma il dolore e la morte come destino dell’uomo.
Il dilemma vero, allora, non è se staccare o meno la spina, se far morire Eluana in mezzo ad atroci tormenti, quelli della fame e della sete, ma è questo: la morte di Eluana è l’ultima parola, è il destino ultimo? Per il credente no. Per chi crede Eluana vive ora una condizione permessa, non certo voluta, daDio. Permessa ma anche accompagnata: Dio è accanto a chi soffre o a chi è in procinto di morire, e non le chiede più di quanto Lei possa sopportare. Il “Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola”, le sta accanto, in un modo misterioso che non conosciamo, ma che abbiamo sperimentato tante volte nella vita. Perché abbiamo fatto esperienza del suo amore fedele, sappiamo che non può venire a mancare. Tutto passa, tutto finisce, solo Dio resta.
Ma per il non credente? Che diritto ho, io che credo, di imporre la mia visione della vita e della morte, come è stato per il padre di Eluana? Qui sta il punto centrale del dibattito odierno. Un dibattito coperto dal sentimentalismo, dalla banalità delle frasi fatte, dalla contrapposizione ideologica. Rimaniamo contrari all’uccisione, come è stata per Eluana (la vogliamo chiamare col suo nome?), perché vi è un principio inderogabile, non uccidere, che non può patire eccezioni, né per chi considera questa vita un momento di passaggio, né, tanto più, per chi ne fa l’unica realtà esistente, cioè l’unico valore in gioco. Immaginiamo che si introduca il principio che ognuno può decidere della sua morte, che ungenitore o un amico, o chiunque altro, può decidere per me, in nome del fatto che io stesso avrei deciso così.
In quali circostanze, per quali malattie? Potremo scegliere l’eutanasia solo per malattie fisiche o anche per una depressione o una delusione?Chi fisserà di volta in volta i limiti, una volta sfondato l’unico limite certo, quello del confine tra la vita e la morte? Quale potere diverrà così soggettivo e tirannico da dover legiferare non sulla tutela della vita, ma sulla tutela della morte?
Facciamo un passo indietro, nella nostra storia: sarebbero mai nati gli ospedali, nella nostra civiltà, se avessero prevalso il pensiero spartano, o quello galtoniano, o quello nazista, per cui il malato è bene che muoia, perché è improduttivo, inutile e rovina la razza? Sarebbe mai nato, se la vita e la morte fossero stati considerati solamente questioni individuali, in nome del fatto che ognuno decide per sé? L’ospedale occidentale è nato dalla carità cristiana, che si piega su ogni miseria e su ogni malato, qualsiasi sia la sua condizione; che ha fatto del dolore e della morte non solo una esperienza individuale, ma comunitaria, solidale. Non è nato per sconfiggere la morte, ma per accompagnare la vita, sino alla sua conclusione naturale. Sarebbe mai nato, se l’ottica fosse stata quella individualista di oggi? Oggi, chi dinanzi a chi si accinge a lasciare questo mondo afferma il principio eutanasico, è come coloro che discettano dell’immortalità prossima ventura: ha perso il senso della vita, ed è ossessionato dal non senso della morte. Crede di sconfiggerla, rendendola eterna, oppure decidendo lui il momento finale.
In un modo o nell’altro cerca di affermare qualcosa che non è vero, che non è reale, che non corrisponde alla natura dell’uomo: il nostro dominio sulla vita.
Da Radici Cristiane
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