Salire in cielo

E dissero: «Orsù, costruiamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e facciamoci un nome, per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra». Genesi 11:4

Dopo il diluvio e la distruzione di tutto, la terra venne ripopolata da Noè e la sua famiglia, sopravvissuti grazie all’arca. Quando si formò un gruppo numeroso decisero di fermarsi presso il paese di Scinar; dove realizzarono di possedere la capacità di fabbricare mattoni e la possibilità di edificare una città. Questa risorsa diede vita allo sviluppo della civiltà, ma li portò anche  ad ambire la realizzazione di una costruzione che toccasse il cielo.

Mentre Dio dal fango trasse chi fu fatto a Sua immagine, l’uomo ne ha tratto dei mattoni, per costruire nuove civiltà. Con le pietre, gli uomini, si costruirono una protezione disponendole intorno a sé ma le collocarono anche sotto i piedi edificando una torre capace di elevarli tra la gente. “Orsù”, è un’interiezione per spronarsi a fare qualcosa. La terza volta è pronunciato da Dio stesso, il quale, nell’osservare l’operosità e l’abilità dell’uomo comprende che deve intervenire per fermarlo. Il Signore riconosce che l’uomo possiede capacità di ingegno grandi, ma si accorge anche che ambisce a salire fino al cielo per essere ricordato per sempre. Allora blocca quell’opera portando confusione, affinché capisse che non è stato chiamato per essere superiore ad altri. L’essere umano è capace di essere tale solo nella confusione, poiché dove non c’è confusione subentra l’ambizione e la dittatura. È necessario che i popoli non si comprendano tra loro, che vi siano delle differenze, imparando così ad apprezzarle. È fondamentale riconoscere che, pur se simili, abbiamo qualità e doni differenti ma, nonostante ciò, siamo tutte creature di Dio e che la vita è di ugual valore in ogni parte del mondo.

Giacobbe, dopo aver sottratto la primogenitura a suo fratello Esaù, dovette riparare presso lo zio Labano. Fu proprio mentre vi si recava che si sentì immerso in una condizione di caos, che lo portò a ricercare il Signore. Il tentativo, però, lo disorientò ancora di più perché si mise a cercarLo secondo le sue idee, ovvero ponendo metaforicamente “mattoni sotto i piedi” per andare un po’ più in alto ed avvicinarsi a Lui! Molti pensano che per meditare bisogna appartarsi sul cucuzzolo di una montagna o ritirarsi nel deserto, pensando che Dio sia dove non c’è l’uomo. Esausto, ad un certo punto del suo viaggio Giacobbe si fermò e si mise a dormire (Genesi 28:10). Il patriarca sognò una scala, da intendersi come una gradinata simile a quella della torre di Babele, fatta a gradoni e non da mattoni costruiti da uomini. Inoltre essa non partiva dal basso, ma dall’alto ed a percorrerla vi erano non uomini ma creature celesti, le quali salivano e scendevano. Tutto ciò dimostra anche a noi oggi come sia la divinità che ci viene ad incontrare e non viceversa. L’Eterno era in cima alla scala: «Il Signore stava al di sopra di essa e gli disse: «Io sono il Signore, il Dio d’Abraamo tuo padre e il Dio d’Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza» (Genesi 28:13).

Anche noi siamo eredi della benedizione scaturita dalla visitazione di Dio a Giacobbe per sollevarlo dalla confusione. Quando lo ha fatto, ha mostrato come vivere, come gestire le scelte. Ancora oggi lo fa con noi e lo continuerà a fare! Perché? Basti pensare che gli angeli scendevano e salivano dalla scale. Anche se la nostra vita sarà sempre costellata dal disordine o dalla confusione, che ci appartengono per natura, se decidiamo di affidarci a Dio, Egli troverà il modo di soccorrerci.

Elpidio Pezzella | Elpidiopezzella.or

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