Salman Rushdie e le intolleranze religiose

L’attentato alla vita dello scrittore, a molti anni dalla prima “fatwa”, ripropone il problema di intervenire con urgenza contro ogni fanatismo. Ma la cristianità non dimentichi che per secoli si è resa responsabile di atteggiamenti intolleranti

Le narrazioni sono ancora potenti, nella cultura dell’immagine in cui ormai viviamo. Ma i corpi sono sempre fragili e vulnerabili. Salman Rushdie, uno dei grandi romanzieri contemporanei in lingua inglese, è stato aggredito a causa della sua immaginazione critica. Per i fondamentalisti, infatti, ogni parola del Corano viene da Dio. Il testo sacro non è creazione umana e non può essere decostruito. E la risoluzione del problema è l’uccisione dell’autore di un romanzo blasfemo. Rushdie invece immagina nel suo romanzo che una parte dei versetti sia dettata dell’avversario, dal diavolo. I credenti si trovano quindi davanti un testo complesso, una specie di parabola delle zizzanie in cui sono mescolate parole divine e parole sataniche, umane e sacre, a volte indistinguibili. Solo Dio ne conosce la verità. Ma i versetti “satanici” si potrebbero distinguere per Rushdie: in particolare sono quelli che impongono l’uomo come capo della donna, o che autorizzano il marito a picchiare la moglie. Si distingue dunque la parola divina da quella diabolica, che sollecita gli istinti umani di dominio, sulla base della giustizia.

Rushdie, cresciuto in un ambiente sunnita moderato in India, ha imparato a leggere il testo sacro distinguendo, come insegna il Corano stesso, versi autentici e versi allegorici o ambigui (Sura 3,7). Infatti la grande tradizione esegetica islamica non ha ignorato mai che esistono interpretazioni plurali, contesti di rivelazione che portano ad abrogare versetti più vecchi, necessità di interpretare con la mente ma anche con il cuore («In verità – dice Dio – sono vicinissimo, a portata di mano. E rispondo all’appello di chi mi chiama»). Il Corano è un libro che vuole essere letto sia con il cuore sia con la mente. Come scrive Tariq Ramadan: «Avvicinandosi ad esso, una donna o un uomo che possiedano una scintilla di fede trovano il sentiero da seguire, e riconoscono le proprie inadeguatezze. Non c’è bisogno di uno sceicco, né di un saggio o di un consigliere: alla fin fine, il cuore sa. Ecco quale fu la risposta del Profeta a chi lo interrogava sul senso morale: “Alla luce del Libro – disse – chiedi al tuo cuore”». Rushdie ha dunque portato avanti una nobile tradizione di lettura complessa e profonda del testo coranico. Ma maneggiare la rivelazione sacra e volerne mostrare l’apporto umano assieme al divino che parla è pericoloso.

Negli anni appena successivi alla pubblicazione del romanzo I versi satanici (1989) si scatenarono reazioni violente di intolleranza. In Iran si reagì al romanzo con una fatwa che condannava a morte Rushdie e autorizzava tutti i musulmani a eseguire la sentenza: la fatwa apparve subito molto pericolosa, provocando degli attacchi di cui furono vittima i traduttori del libro in Giappone, dove Hitoshi Igarashi fu ucciso, e persino in Italia (Ettore Capriolo fu ferito gravemente a Milano). Anche uno dei suoi editori, il norvegese William Nygaard, fu ferito in un attentato. La sentenza continua a fare effetto fino a oggi la, fino alla grave aggressione di qualche giorno fa contro lo scrittore.

La cristianità che oggi si muove di sdegno di fronte a tanto fanatismo violento non è stata da meno nei secoli passati, e forse una riflessione sulla propria storia darebbe più strumenti nel presente per evitare di ricadere in fanatismi contrapposti. La storia dei libri messi all’Indice – tra cui addirittura la traduzione in italiano della Bibbia –, i roghi e le persecuzioni di colportori e predicatori evangelici, le chiese evangeliche prese a sassate e i funerali rifiutati, tutto è ancora parte della nostra memoria. Ancora oggi fra gli stessi evangelici dividono in modo difficile da comporre le controversie su capitoli della Bibbia che legittimano violenze e esclusioni, come i testi sugli omosessuali o quelli sulla punizione e subordinazione di Eva e di tutte le donne con lei, a causa del peccato.

Se la storia si ripete e porta con sé pregiudizi, disprezzo e violenza, è perché questa società post-religiosa non ha ancora veramente acquisito un rapporto sano con la presenza di Dio nel mondo. Essa è divisa nella logica dualistica che ci caratterizza, mentre lettura del cuore e intelligenza della mente possono trovare un’armonia a partire dai principi della giustizia e dell’amore.

Ora, io credo, si tratta di fare la nostra parte – come ha detto Piero Angela – per abbattere i fanatismi e pregiudizi che influenzano così tanto le nostre società plurietniche. E di fronte a uno scrittore di vaglia come Salman Rushdie, si tratta anche di riprendere in mano i suoi romanzi e di ridargli valore come scrittore e pensatore. Nel tempo complesso che viviamo la sua vicenda umana fa parte di una storia della letteratura e della civiltà che si batte con coraggio contro le chiusure di un pensiero religioso di qualsiasi tipo, musulmano o cristiano, buddista o altro, ingabbiato nei limiti del letteralismo fondamentalista che porta solo morte e non vita.

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