Sarà un altro Natale

Un tempo l’8 dicembre dava il via al periodo cosiddetto “natalizio”, con la preparazione degli addobbi e la scelta dei primi regali. Da qualche anno ormai la complessa e affamata macchina commerciale si anticipa di gran lunga, tempestandoci di messaggini, spot e lanci promozionali al punto da perseguitarci. Sul mercato globale del web le aziende si fanno concorrenza, giocando sempre più di anticipo e al ribasso, tanto che il “black friday”, usanza americana di vendite al ribasso nella giornata successiva alla festa del Ringraziamento (ultimo giovedì di novembre) non si sa più in quale giorno cada. Quest’anno purtroppo le cose stanno diversamente.

Il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia da sars-covid19, capace di mutare usanze e costumi in tutto il mondo. Per tutelare la salute anche le tradizioni e i riti del periodo devono pagare dazio: le feste ritorneranno, la salute no. Ed è per questo, che volente o nolente, ciascuno quest’anno vivrà le feste diversamente. Dispiace per gli anziani, le persone sole, i cari che non potranno almeno per qualche ora o giorno godere del calore familiare. Chi famiglia non ha forse sarà contento, perché almeno una volta non si sentirà discriminato da qualcuno: “giustizia è fatta”. Le restrizioni dei vari lockdown stanno, giorno dopo giorno, piegando la resistenza di molti e svilendo le risorse di altri, costretti a fare salti pindarici per sbarcare il lunario, per onorare impegni assunti o addirittura per vivere alla giornata. Infatti, le statistiche confermano la crescita di coloro che vivono sotto la soglia di povertà e di quelli che scelgono la via del suicidio come fuga. Sì, questa pandemia ci sta regalando sempre più poveri e moltiplicando i suicidi.

Eppure arriva Natale, e tutti vorremmo almeno per un giorno un mondo migliore, famiglie felici, ospedali vuoti, chiese stracolme, bambini felici con i loro giocattoli, tavole imbandite da nord a sud e da ovest a est. Non sarà possibile! Forse proprio l’andazzo di tutto l’anno, avrebbe richiesto un cerimoniale scacciapandemia, un po’ di baldoria canzonatoria tra le mura domestiche. Non mi va di addossare colpe, né di sparare affrettati giudizi. Ma siamo onesti, quale festa può far dimenticare le oltre cinquantamila vittime del nostro Paese?! Ovunque ti volti per strada noti numerosi negozi costretti ad abbassare definitivamente le saracinesche. Eppure c’è voglia di reagire, c’è tanto desiderio di scacciare quest’anno e il covid, che molti si sono anticipati largamente per addobbare alberi e accendere le lucine a intermittenza. Non importa se le palline sono quelle di qualche anno fa, se i nastri sono consumati e non tutte le lampadine si accendono. Temo allora che molti non hanno capito quello che è successo e che non è ancora finito. Non può bastare aderire a un rito scacciacrisi, mettere un segno visibile dietro il vetro per dire alla “malasorte” di andarsene altrove, e che almeno per qualche giorno lasci tutti in pace per godersi la famiglia e mangiare secondo la tradizione. Mi spiace, non sarà così! Ed il mio non è sarcasmo.

 

Comprendo l’amarezza, posso anche giustificare la delusione di alcuni, ma probabilmente questo è l’anno per riscoprire veramente il Natale. Chi ha in petto un cuore credente brama un incontro con Dio e per una volta dovrà fare a meno della tradizione con i suoi annessi e connessi (cibo, giochi e fuochi), non ne ha bisogno. Le feste di questo periodo, in un modo o nell’altro, in chiesa e fuori, sono per antonomasia le festività della famiglia, occasione per godere della compagnia di figli, fratelli, genitori, zii e parenti vari. Se il presepe francescano pone al centro la “sacra famiglia”, il credente con la sua famiglia dovrebbe fare altrettanto tutto l’anno, perché in essa scorge l’agire divino nelle varie relazioni. In quelli che ancora credono nel valore della famiglia, questo periodo proverà se i sentimenti sono sinceri o meno. Non poterli raggiungere o frequentare misurerà il livello della sensibilità affettiva. Forse avremo modo di pensare maggiormente anche a chi vive in case famiglie e di accoglienza, case di detenzione e di cura. Credo che alla fine, se abbiamo un minimo di fede, converremo che il ricordo del Cristo non può legarsi ad una celebrazione imposta da un calendario liturgico, e che quel che conta veramente non è ciò che entra nel ventre ma quel che esce dal cuore e dalla bocca.

 

Se era consuetudine celebrare il Natale senza tener conto di Gesù, relegandolo a un minuto verso la mezzanotte, quest’anno abbiamo forse l’opportunità di rimediare. Questa festa dovrebbe ricordare, celebrare il fatto che Egli un giorno è venuto a dimorare in mezzo a noi, assumendo natura umana nel seno di Maria e venendo alla luce in una umile stalla a Betlemme, per testimoniarci l’amore di Dio per ognuno, talmente immenso da lasciare la Gloria del cielo e farsi come noi con l’intento di renderci partecipi del Cielo, riconciliandoci al Padre mediante la Grazia. Più volte ho udito che con Gesù è Natale tutti i giorni, se Egli abita nella vita del credente. Se spiritualmente è vero, com’è possibile che si fa fatica tutto l’anno a preservare relazioni sentimentali, familiari e parentali? Se nel cuore è nato il Principe della pace perché ogni minima occasione è buona per far guerra a qualcuno? Colui che ha conosciuto la “nuova nascita” in Cristo dovrebbe invece essere strumento di vita, di pace in terra alle persone di buona volontà come annunciavano gli angeli nella notte di Betlemme?

 

Quest’anno invece di lamentarci per quel che non potremmo fare, sia piuttosto il tempo di ringraziare Dio per quel che possiamo ancora fare. Sono certo che la Sua mano ha predisposto disegni e piani a noi sconosciuti. Io continuo a fidarmi di Lui.

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