
In questo tempo così particolare, dove la solitudine esteriore sta diventando una compagnia interiore con lo Spirito, sento di dover parlare. Ma con voce bassa, non gridata. Scrivo come si confida un segreto, ma con la consapevolezza che qualcuno leggerà. E spero che leggendo, non si veda me… ma Gesù.
Prima di tutto, sento di chiedere scusa.
Sì, scusa. Se in qualche scritto precedente, qualcuno che ama sinceramente il Signore ha percepito durezza, o ha pensato che io ce l’avessi con la Chiesa del Signore. Non è mai stato così.
Chi mi conosce, sa che scrivo con il cuore a nudo. A volte con parole che sembrano spade, è vero. Ma non si tratta di rabbia, né di ribellione. È lo zelo di chi ha amato profondamente, ed è stato ferito profondamente.
È la voce di chi ha visto troppo fumo dove doveva esserci luce, e ha scelto di parlare.
Eppure, se in qualche modo il tono ha offuscato l’intenzione, chiedo perdono.
Perché anche la verità, se non profuma d’amore, non è mai del tutto verità.
Oggi, invece, voglio solo aprirmi. Con trasparenza. Con umiltà.
Da quando, per motivi di lavoro, mi trovo da solo in un nuovo luogo, il Signore ha occupato lo spazio del silenzio. Lo ha trasformato in un altare. In uno di quei luoghi dove non servono parole, ma basta restare lì, e Lui arriva.
E mentre sono qui, nel segreto, mi sta insegnando a vivere come non avevo mai vissuto prima.
Mi sta mostrando la Sua umiltà. Non quella che si racconta nei sermoni, ma quella che si respira quando ti svesti da ogni ruolo. Quando non hai più nulla da dimostrare, e nessuno da convincere. Quando resti solo tu… e Lui.
E in quella nudità dell’anima, mi sta riportando a dipendere. Totalmente.
Mi ha detto parole che hanno fatto tremare tutto dentro:
“Marcello, non ti appoggiare a nulla. Né a un lavoro, né a una casa, né a una posizione, né a una stagione. Non trattenere ciò che io ti chiedo di lasciare. Non difendere ciò che io non ti ho chiesto di custodire. Tu sei mio. E Io sono tutto ciò che ti serve.”
E lì ho capito: nulla è nostro. Nemmeno il respiro.
Le cose che oggi ci sembrano “benedizioni”, domani potrebbero non esserci più. Eppure Dio resterà lo stesso. Perché la vera benedizione non è quello che abbiamo attorno, ma Chi abbiamo dentro.
Mi ha fatto vedere quante volte rincorriamo obiettivi solo per sentirci validi.
Ci affanniamo per ottenere una posizione, per arrivare a un traguardo… non sempre perché ci sentiamo chiamati, ma perché ci hanno educati a “dimostrare qualcosa”: ai parenti, agli amici, alla chiesa, al passato che ci ha umiliati.
Ma questa, lasciatemelo dire, non è libertà. È schiavitù emotiva travestita da spiritualità.
Nel Regno, le misure sono diverse:
chi è grande serve.
Chi regna, si abbassa.
Chi ama, rinuncia.
E chi vive per Dio… vive libero da tutto, ma dipendente da Uno solo.
Ecco cosa sto imparando in questi giorni:
a camminare come se non possedessi nulla, eppure sapendo di avere tutto.
A vivere senza attaccarmi agli strumenti, ma rimanendo innamorato del Maestro.
A seguire il Buon Pastore, senza bisogno di capire tutto… ma fidandomi che Lui ha cura di me.
Ed è lì che una frase ha preso forma nel mio cuore, come una verità semplice ma potente:
“Tu sei il flauto. Io sono il fiato. Tu sei lo strumento. Io sono la melodia.”
Non siamo chiamati a “fare rumore”, ma a lasciarci suonare.
A non cercare di essere “qualcuno”, ma a far risuonare il Suo cuore attraverso il nostro.
E quanto più rimani in Lui, quanto più Lo contempli…
tanto più Lui prende il tuo posto agli occhi del mondo.
Non “si vede meno te”… semplicemente si vede più Gesù.
E non c’è gloria più grande di questa: essere trasparenti, per far passare la luce.
Perché, alla fine, quando saremo davanti a Lui, non ci verrà chiesto quante opere abbiamo fatto.
Ci verrà chiesto solo: “Mi hai conosciuto?”
E se la risposta sarà “sì”… allora ogni cosa sarà valsa la pena.
Ecco, io oggi voglio vivere così. Leggero. Libero. Nudo di tutto, ma pieno di Lui.
Perché più Lo conosco, più Gli somiglio. E più Lui vive in me, più gli altri potranno incontrare Lui. Anche nel mio silenzio. Anche nei miei fallimenti. Anche nelle mie notti.
Perché l’Agnello non ha bisogno del nostro volume.
Gli basta un cuore disponibile.
— Marcello Donadio
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