
La sofferenza che a volte viviamo fa maturare una sensibilità particolare in noi che ci porta a percepire la vita in maniera completamente diversa rispetto al passato.
Certamente ci si ritrova ad essere più fragili, deboli e feriti, però, al tempo stesso, diventiamo più umani, acquistiamo una nuova e più intensa prospettiva. Non ci sono vie di mezzo al cambiamento che il dolore produce nella nostra anima: o ci “umanizziamo”, oppure diventiamo più cattivi.
Accogliere e custodire il dolore nella nostra vita spirituale significa raggiungere una consapevolezza e una sensibilità più profonda. Se noi non elaboriamo il dolore che viviamo, quella sofferenza marcisce dentro di noi e ci incattivisce, non tira fuori il bene, ma il male, il nervosismo, la frustrazione, la rabbia.
Noi diciamo quasi sempre, come se fosse un giudizio morale, “quello è un frustrato“. Ma in realtà la frustrazione viene sempre da un qualcosa di irrisolto, è un’amarezza che ci portiamo dentro e che marcisce fino al punto di guastarci, facendoci diventare ciò che non vorremmo mai essere.
Ma quando invece accogliamo quella sofferenza senza ignorarla o disprezzarla, e cerchiamo di affrontarla dandole una giusta importanza, noi guariamo da quel dolore perché raggiungiamo una consapevolezza e una sensibilità più profonda della nostra vita che magari un dolore lasciato irrisolto non ci dà.
Alessio Sibilla
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