Se per sei scienziati su dieci c’è accordo tra scienza e fede

creazioneSecondo un sondaggio della Rice University, la maggioranza degli scienziati crede in Dio. Una notizia che non dovrebbe stupirci.

Secondo un sondaggio della Rice University, ben 6 scienziati su 10 credono in Dio e ritengono conciliabile la scienza con la religione, la ragione con la fede.

Ciò che stupisce davvero è lo stupore per i risultati di un simile sondaggio, poiché sorprendersi per l’idea che naturale e soprannaturale siano conciliabili significa soltanto mostrarsi vittime del pregiudizio ideologico oggi così tanto diffuso e quindi dimostrare di non aver colto né la natura della scienza, né quella della religione.

I veri scienziati sono coloro che non si riducono all’angolo del proprio mondo, o della realtà nella sua datiti materiale, ma coloro che, aperti alla verità anche in senso spirituale, comprendono che la grandezza del mondo non può contenere ed esaurire l’immensità e la profondità della verità.

La vera scienza, dunque, non può negare l’esistenza di Dio, anzi la può e la deve presupporre.

La scienza, infatti, non ha mai dimostrato che Dio non esiste, come ha ben precisato il matematico Amir Aczel, e, del resto, non potrebbe mai farlo per almeno due ordini di ragioni: in primo luogo, perché non si può dimostrare l’inesistenza di qualcosa che per l’appunto non esiste; in secondo luogo, perché il fine della scienza non è questo, ma il suo scopo è quello di condurre l’uomo alla conoscenza e alla comprensione della realtà fisica che lo circonda.

Una scienza che uscisse da questo stretto, ma suo proprio tracciato cesserebbe di essere scienza e diventerebbe l’emulazione di altre discipline (metafisiche) come la filosofia e la teologia, che sanno fare ciò da molto più tempo e molto meglio di quanto potrebbe la scienza; la scienza si ridurrebbe quindi allo spettro di se stessa e alla grottesca scimmiottatura di altro.

Come ha scritto un grande fisico del calibro di Enrico Medi, infatti, «la scienza è un grande dono di Dio perché impedisce alla vanità della fantasia umana di creare ciò che non esiste e ciò che è falso, perché il contatto con le cose vere ci riporta all’umiltà dell’obbedienza, all’insegnamento della natura. E qui la scienza è grande, perché a colui che volesse fare giochi fantastici, non gli viene certo incontro la vera scienza, ma la scienza che vuol fare filosofia, vuol fare teologia, mascherandola di altre parole dette scientifiche».

Dal canto suo, la religione, almeno quella cristiana, ha sempre affermato la necessità e l’utilità della scienza in quanto esaltazione della ragione che è non solo il tratto caratteristico dell’essere umano che lo contraddistingue dal resto del creato, ma soprattutto l’espressione di quella sua creaturalità fatta ad immagine e somiglianza del Creatore, cioè di quel Dio (incarnato).

In fondo nel Vecchio Testamento è scritto che «è gloria di Dio nascondere le cose, è gloria dei re investigarle» (Prv., 25,2).

L’idea che vi sia un conflitto perenne tra scienza e religione è il risultato della ideologia dello scientismo che si appropria dei mezzi e degli scopi della scienza per distorcerli in senso non scientifico, cercando di applicarli ad altri ambiti che per l’appunto alla scienza sono costitutivamente esclusi.

Si tratta cioè di quell’“imperialismo scientistico” di cui parla il filosofo della scienza John Duprè, ricordando che la scienza può cogliere la verità della realtà, ma che la verità della realtà non potrà mai essere posseduta soltanto dalla scienza.

Allorquando la scienza tenta di sconfinare, cercando di impossessarsi tutta la realtà, di tutto il senso, o di dimostrare l’inesistenza di Dio, o l’irrilevanza di tutto ciò che non può essere calcolato e pesato, cessa di essere scienza per diventare l’ideologia di se stessa, lo scientismo appunto: e quando ciò accade la scienza autoidolatrandosi perde la ragione, la ragione di se stessa.

In questo senso, a ragione un biologo del calibro di Pierre Lecomte Du Noüy ha avuto modo di precisare: «Rendendo le guerre sempre più spaventose, combattendo l’idea di Dio, la nozione del bene e del male assoluti, negando la realtà di una meta e togliendo ogni significato alla vita e agli sforzi dell’uomo, l’intelligenza lotta contro l’evoluzione e contro se stessa. Quando non riesce ad elevarsi sulla considerazione degli interessi immediati cessa di essere un meraviglioso strumento di progresso: diventa una mostruosità. L’intelligenza a quel punto cessa di essere intelligente».

Ma allora in che rapporto si trovano scienza e religione se non si escludono a vicenda?

Appunto sono in relazione e correlazione continua, poiché si completano in quanto ciascuna rispondente ad una domanda di senso differente sulla vita e sul mondo: la scienza risponde al come della realtà; la religione al perché.

Non a caso Albert Einstein ha potuto constatare che «la scienza senza la religione è zoppa; la religione senza la scienza è cieca».
Del resto, è oramai ampiamente e solidamente accertato dagli storici della scienza che l’albero della scienza occidentale, così come oggi si conosce, affonda ampiamente le sue radici (euristiche ed epistemologiche) sul fertile terreno della teologia (cristiana).
In altri termini, la teologia è stata ed è la premessa cronologica e soprattutto logica della scienza.

Negare una simile correlazione non significa negare soltanto un dato storico ed epistemologico fondamentale ed imprescindibile, ma significa soprattutto ignorare o disconoscere la vera natura della scienza.

In questo senso e in conclusione, allora, si possono adottare le parole di uno dei più celebri fisici della storia della scienza del calibro di Max Planck che, per l’appunto, così ha avuto modo di insegnare: «Chi ha veramente collaborato a costruire una scienza sa per propria esperienza interiore che sulla soglia della scienza sta una guida apparentemente invisibile, ma indispensabile: la fede che guarda innanzi. Non c’è principio che abbia recato maggior danno, per l’equivoco a cui si presta, che quello dell’assenza di premesse nella scienza».

Aldo Vitale | Tempi.it

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