Senza gusto e senza Dio. Ecco come immaginare il nulla

img-_innerArtFb-_zo2_20Caro direttore,

l’altro giorno, girando in uno di quei luoghi infernali che chiamano supermercati, mi è venuto in mente che viviamo nella civiltà dei “senza”. Infatti, in quegli scaffali, trovi la pasta “senza” glutine, il latte “senza” lattosio, il caffè “senza” caffeina, il te “senza” teina e così via. Capisco alcune preoccupazioni salutari (su cui, comunque, mi pare che si stia esagerando), ma il risultato è che si fanno girare, molto reclamizzati, prodotti senza più gusto. Prodotti che perdono le loro caratteristiche originali e tipiche e che inducono il consumatore ad accontentarsi di un di meno, che viene accettato perché la pubblicità dice che, invece, è un più.

Ma questa osservazione sarebbe banale, da bar, come si usa dire (anche se nei bar molto spesso vengono dette cose molto più interessanti che nelle chiacchiere televisive, perché Chesterton ci ha insegnato che l’uomo comune è molto più saggio dei presuntuosi intellettuali ed “esperti”). Tutti quei “senza” mi hanno fatto venire in mente che esiste, nel mondo, un vero e proprio inno, famosissimo, dedicato a tale posizione. Si tratta della canzone Imagine, cantata ovunque, per qualsiasi occasione, come se fosse la poesia della pace e della non violenza. In effetti, essa esprime una musica molto bella, ma con un testo, che, come minimo, potremmo definire inquietante.

Infatti, quelle parole auspicano, senza mezzi termini, un mondo senza paradiso e senza inferno, un mondo senza un domani («vivere solo per l’oggi»), un mondo senza nazioni (cioè senza identità), un mondo senza religione (cioè senza ideali e senza un destino buono, visto che non c’è un mondo senza morte), un mondo senza proprietà (cioè senza un ambito proprio di ogni persona). Imagine trasmette l’idea, anzi l’ideale, di una realtà assolutamente piatta, senza drammi, senza domande, senza personalità, senza più gusto. Un mondo in cui non sia più necessario il sacrificio, in cui Cristo diventa inutile perché si censura utopisticamente il “guazzabuglio” che il grande Manzoni ha descritto in ogni essere umano. Lennon e compagnia vorrebbero un uomo che non c’è, un uomo che è ferito, a cui non bastano i pannicelli caldi (anzi tiepidi) di una utopia irrealistica.

[…]

Caro direttore, sarebbe bene che almeno i cristiani smettessero di identificare in questa canzone uno strumento consolatorio e sentimentale di pace umana e di speranza nel nulla. Occorre, piuttosto, tornare a un realismo dell’umano, che, sia a livello privato sia a livello pubblico, annunci Cristo come unico salvatore di tutto, «perché possiate distinguere ciò che è meglio». Senza se e senza ma.

di Peppino Zola | Lanuovabq.it

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