Sono oltre 800 le medaglie “rubate” dagli atleti trans nelle competizioni femminili

La continua inclusione di atleti transgender nelle competizioni sportive femminili ha provocato un enorme danno a centinaia di atlete donne: per la precisione parliamo di oltre 600 atlete che hanno perso più di 890 medaglie in ben 29 sport. Numeri da capogiro che da soli rappresentano un’enorme denuncia contro l’ideologia e il sistema arcobaleno che pretende di rovesciare l’ordine naturale delle cose, anche nelle attività sportive.

Come riporta il Daily Mail, a parlarne è Reem Alsalem, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, che ai primi di novembre ha presentato i risultati del suo rapporto all’Assemblea generale dell’Onu.

Il quadro è sconcertante: centinaia di donne sono state sopraffatte in decine di sport da atleti transgender, ovvero persone nate maschio che quindi presentavano qualità specifici di genere , come la maggiore forza, e che quindi avevano un vantaggio maggiore nelle competizioni sportive. Il tutto creando una disparità reale e sconcertante, una discriminazione con la “perdita di giuste opportunità” per le concorrenti biologicamente donne. Una denuncia seguita da una precisa richiesta da parte di Alsalem: quella di una maggiore tutela delle donne nello sport, messe a dura prova da queste competizioni, che si sono trasformate in una vera e propria farsa ideologica.

Da mesi gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Pensiamo – tanto per citare un caso ormai eclatante e famigerato – al nuoto e alle vittorie di Lia Thomas, atleta transgender che vinse nel 2022 il più alto titolo universitario nazionale degli Stati Uniti quando nuotava per l’Università della Pennsylvania. Chi non ricorda l’immagine in cui la sua figura, enorme, svettava su quella delle altre nuotatrici. Oppure chi non ricorda i giochi olimpici di Tokyo nel 2020 quando il primo atleta transgender a partecipare fu il sollevatore di pesi neozelandese Laurel Hubbard. Ne hanno fatta di strada le ideologie arcobaleno da quel momento, arrivando quest’anno – con le Olimpiadi di Parigi 2024 – a “colonizzare” molti altri aspetti dell’evento, dalla cerimonia di apertura alle “gesta” del pugile Imane Khelif, medaglia d’oro nel pugilato femminile nonostante gli elevatissimi livelli di testosterone.

Tutti ricordiamo la sfida – poi non disputata per abbandono – con la nostra atleta Angela Carini, umiliata nel suo essere donna di fronte a una persona che, come confermò l’International Boxing Association, non passò le verifiche per la competizione, ma venne ammessa comunque dai funzionari olimpici fin troppo “inclusivi”. Una vergogna mondiale, denunciata anche da note attiviste contro l’ideologia gender come J.K. Rowling o dall’allora candidato presidente Usa – ora eletto – Donald Trump, che misero in luce anche la sfrontatezza, oltre che la violenza, di certe imposizioni ideologiche.

A tal proposito sarebbe notizia degli ultimi giorni che un giornalista francese, Djaffar Ait Aoudia, ha riferito di aver visionato un referto medico del giugno del 2023 di Khalif, che riportava la “presenza di testicoli interni e di una composizione cromosomica XY, che potrebbe indicare una condizione genetica nota come deficit di 5-alfa”. In altre parole sarebbe, appunto, un uomo, nonostante – lo sottolineiamo per amore di verità – lo scoop del giornalista francese non è stato confermato e molti hanno sollevato dubbi sulla sua autenticità. Scoop o meno rimane il fatto – incontrovertibile – degli elevati livelli di testosterone della pugile algerina.

Un caso, quest’ultimo, sicuramente diverso dai veri e propri atleti transgender che competono negli sport femminili, ma che rappresentò una goccia in più, importante, nel vasto mare della discriminazione contro le donne nelle competizioni sportive.

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