Specificità della cura pastorale rispetto ad altri approcci umanistici o psicologici

La cura pastorale è stata ed è un’opera fondamentale della vita della chiesa, come d’altronde la predicazione e l’insegnamento. La relazione d’aiuto ha utilizzato e continua ad utilizzare- regole proprie sulla duplice base della conoscenza della Bibbia e dell’esperienza dell’animo umano. Nel secolo scorso, a causa della nascita delle scienze psicologiche, sono nate le consulenze psicoterapeutiche o psicologiche. Questi in un primo momento hanno messo in crisi il lavoro della cura pastorale, anche perché non sempre sono stati precisati i rispettivi campi e facoltà. Anche se la relazione d’aiuto è un’attività diversa dal counseling psicoterapeutico, nel tempo se ne sono utilizzati alcuni strumenti.

È stato grazie a Freud e Jung che con le scoperte della psicologia dinamica ci hanno fatto comprendere la grande complessità dei comportamenti umani.

Per questo motivo i pastori che esercitavano la cura pastorale sono passati da un’etica –e una pastorale- del dovere, del comandamento e della disciplina, ad un’etica ed una pastorale della comprensione, dell’accettazione di sé, della crescita e della salute psichica.
Durante le due guerre mondiale e anche dopo il 1945 si è sviluppato negli Stati Uniti una cura pastorale nascente dall’esperienza personale di alcuni pastori. -J. Cabot e A. T. Boisen- Questi si appoggiavano alla psicologia e il loro approccio non era teorico, ma pratico; la loro forza stava nella serietà, nell’impegno e nella coerenza cristiana. Grazie a questo lavoro negli anni ’20 nasce negli Stati Uniti una scuola di relazione d’aiuto, la Clinical Pastoral Education, con istituti specializzati per la formazione dei pastori presso istituti ospedalieri, che utilizza insieme le competenze spirituali e ministeriale del pastore e quelle dello psicoterapeuta.

Per questo motivo oggi si tende ad assumere dove possibile le due competenze, quella pastorale e quella di psicoterapeutica, suggerendo addirittura che il pastore segua una doppia professione: quella teologica e quella psicologica. È importante che il pastore sia ben preparato riguardo le diverse concezioni antropologiche e i relativi metodi operativi, che gli saranno utili e a volte indispensabili nella cura pastorale. Ovviamente non tutti i pastori riescono a seguire entrambe le competenze, sia per il tempo che per i costi.

È importante e necessario conoscere le differenze tra i due metodi: quello della cura pastorale e quello della psicoterapia. Il pastore esercita la relazione d’aiuto in quanto responsabile della chiesa locale, nel suo insieme e nel quadro del lavoro pastorale generale. Al contrario del psicoterapeuta, che come libero professionista si rivolge a persone private, il pastore ha il tempo limitato e il suo intervento il più delle volte avviene casualmente e sul piano del “dono” che i fratelli stessi della chiesa fanno delle sue competenze e del suo tempo, magari in cambio della crescita o recupero della persona in crisi. Giradet afferma che i doni possono anche creare dipendenza e diventare un motivo di abuso. -Credo che abbia ragione, nella mia esperienza personale di pastore mi è capitato che qualcuno abusasse del mio tempo e della mia disponibilità; ma talvolta credo che anche questo sia il lavoro di un pastore o di un anziano della comunità.-

Il pastore quasi sempre non sceglie le persone che si presentano per un counseling, e neppure può rinunciare. – tranne per alcuni casi -. In realtà non può nemmeno chiudere il rapporto del tutto; però al contrario del psicoterapeuta il pastore può prendere iniziativa.

Inoltre, chi pratica la relazione d’aiuto nella chiesa non può isolare del tutto la persona dal suo contesto famigliare e comunitario, anzi se ne deve occupare e tener presente che ci possono essere conseguenze nella comunità per la condotta disordinata di uno dei suoi membri. Grazie alla sua posizione di ministro di culto gli viene riconosciuta un’autorità specifica che non è paragonabile a quella dello psicoterapeuta, e non solo: la differenza sostanziale sta nella natura e nello scopo della relazione d’aiuto. Di fatto il pastore viene visto come un servo di Dio e questo crea una differenza fondamentale che ne risalta la cura pastorale e lo rimanda a uno scopo più grande del semplice benessere personale, ma offre di ristabilire una comprensione e approvazione del disegno di Dio, guidando il prossimo in relazione con la chiesa locale. Ovviamente questo vale anche per il ministero dei laici.

Concludendo c’è da dire che negli ultimi 50 anni la cura pastorale ha subìto una trasformazione nell’ambito della teologia pratica. La cura pastorale è centrata sulla consulenza e si fonda su una psicologia pastorale, su una formazione pastorale clinica e sulla psicoanalisi, quindi si contrappone alla cura pastorale kerigmatica, essa prima era predicazione ed oggi è consulenza.

Il professore Genre scrive:

È fin troppo evidente la radicalità del cambiamento di prospettive, ma i fronti non sono sempre altrettanto chiari; anche perché molti nodi tornano al pettine dopo alcuni decenni di insufficienti interrogativi di ordine teologico. Questi cambiamenti sono dentro una storia che comincia ad essere oggi criticamente interrogata ed accanto ad alcuni capisaldi inamovibili, molti aspetti sono in fase di rivisitazione e di revisione teologica e psicologica.

Penso che da un lato la psicologia abbia aiutato ed aiuti a fare cura pastorale; dall’altro però, credo che bisogna stare attenti che essa non sostituisca completamente la cura pastorale kerigmatica.

Dott. Orazio Motta | Notiziecristiane.com

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