Sri Lanka. Winkler: “Il mito della violenza redentrice”

Jim Winkler, presidente e segretario generale del Consiglio nazionale delle chiese cristiane degli USA (NCCCUSA), interviene sul massacro della domenica di Pasqua.

Roma (NEV) 30 aprile 2019 – Proponiamo la traduzione della riflessione di Jim Winkler, presidente e segretario generale del Consiglio nazionale delle chiese cristiane degli USA (NCCCUSA), sul massacro della domenica di Pasqua in Sri Lanka, pubblicata da NCC Weekly News.

“Pare che il massacro dei cristiani in Sri Lanka, la domenica di Pasqua, sia stato perpetrato in risposta a un precedente massacro di musulmani in Nuova Zelanda, uccisi anch’essi durante una funzione religiosa. Quelli che hanno compiuto i massacri sono in entrambi i casi degli estremisti, ma non dovremmo considerare questi incidenti come isolati. Gli attacchi ai luoghi di culto sono diventati fin troppo comuni.

Il ciclo di violenza è anche conosciuto come ‘mito della violenza redentrice’. Per esempio Dylann Roof, l’assassino che ha ucciso coloro che stavano partecipando allo studio biblico presso la chiesa di Emanuel AME a Charleston, ha detto di aver assassinato i neri perché credeva che avessero violentato donne bianche ogni giorno. Timothy McVeigh ha affermato che il suo attentato contro l’edificio federale Alfred P. Murrah a Oklahoma City era per rappresaglia verso vari attacchi e incursioni degli agenti federali nel corso degli anni.

I tamburi della guerra e della violenza stanno battendo ancora una volta. Frank Gaffney, presidente di “Save the Persecuted Christians” e da lungo tempo propagandista islamofobo, ha chiesto al governo americano di utilizzare gli strumenti a sua disposizione per punire chi attacca i cristiani. Ci sono persone che amerebbero niente di più che una ‘guerra santa’ per purificare il mondo dalle persone che essi rifiutano di accettare.

Confesso che, quando ero piccolo, ero un vero sostenitore del mito della violenza redentrice. Per me non era un semplice mito; era un principio di fede. Ho creduto fermamente alla violenza redentrice nei miei rapporti con mio fratello e mia sorella minore. La mia violenza verso i miei fratelli era fisica ed emotiva e, nella mia mente, era sempre giustificata perché in risposta a qualche affronto, reale o immaginario. La mia violenza, semplicemente, andava a correggere le ingiustizie subite.

Dicendo questo, non intendo essere banale o irriverente. Penso che ci siano davvero dei parallelismi. Come il teologo Walter Wink ha sottolineato in modo così brillante nella sua potente trilogia (nominare i poteri, smascherare i poteri, coinvolgere i poteri), i bambini piccoli sono indottrinati al mito della violenza redentrice attraverso i cartoni animati.

Da ragazzo, il mio eroe preferito dei fumetti era Mighty Mouse. In ogni episodio, Mighty Mouse salva il mondo dai cattivi e salva i topi a cui è stato fatto del male. Ma nessuna lezione è stata mai appresa, né si sono risolte delle relazioni. Ogni episodio è a sé stante, un esempio soddisfacente di intenti e atti malvagi, sconfitti da un eroe mitico che viene in soccorso.

Queste stesse ‘lezioni’ sono impartite attraverso thriller, western e film di guerra. Sono profondamente radicate nella nostra visione del mondo. La rabbia della strada è un’altra manifestazione del mito della violenza redentrice: mi ha fatto fuori, ho dovuto vendicarmi! Intere guerre sono state combattute sulla base del mito della violenza redentrice. Ricordate l’incidente del Golfo del Tonchino nel 1964 in cui, presumibilmente, un attacco del Vietnam del Nord fu effettuato contro una nave da guerra americana? Per rappresaglia, gli Stati Uniti hanno ucciso almeno due milioni di vietnamiti e perso decine di migliaia di propri soldati in una guerra folle.

I miei genitori mi hanno iscritto alla prima elementare quando avevo cinque anni. Sono stato così tra i più piccoli, in tutte le scuole a cui sono stato iscritto. A malincuore, ho messo da parte la mia fede nella violenza redentiva per ragioni eminentemente pratiche – la paura di essere picchiato, principalmente. Questa esperienza cominciò a creare dubbi nella mia mente quando appresi che la gentilezza, la negoziazione, la persuasione e il perdono – che utilizzavo per necessità – potevano spesso fare miracoli.

Il mito della violenza redentrice è lo strumento preferito del bullo e del vigliacco. Non c’è da meravigliarsi che gli attacchi siano stati fatti nei luoghi di culto, perché le persone radunate lì non si aspettano la violenza e perché, alla fine, la loro fede insegna che la violenza è sbagliata. Allo stesso modo, è sbagliato vendicarsi. Ciò che è corretto è che venga fatta un’indagine penale, che i colpevoli siano presi in custodia, che si svolgano processi e, infine, che chi compie quegli atti di violenza se ne assuma le responsabilità.

Il mito della violenza redentrice fa parte di una sovrastruttura mentale che ci tiene in cattività e ci impedisce di diventare il popolo che Dio vuole che noi siamo. Dobbiamo distaccarci da tali miti per far avanzare il Regno di Dio”.

Di Agenzia NEV

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