Tra smarrimento e patologia

Per l’uomo contemporaneo non è certo facile definirsi in un sano senso di sé in un contesto culturale frammentato e in continuo cambiamento. Si riscopre fragile e incapace di reagire al rapporto con l’altro. L’appagante relazione con l’altro sfugge e si ripara in un inappagante rapporto con l’oggetto acquistato e subito “consumato”. Alienato da un sano senso di relazione/comunità. La relazione sana, infatti sostiene soprattutto nei momenti difficili e di stanchezza e fa gustare la fraternità come dono di Dio. «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Salmi 133 e 134) Ma è anche nel progetto di Gesù l’importanza di una relazione/comunità accogliente e di riferimento Mc3/13-19; Lc 6/ 12-16 che sostiene l’individualità e ne esalta le qualità positive Mt18/1-5; Lc 9/ 46-48. Purtroppo viviamo nel buio interiore fatto di angosce e paure, di dolori e frustrazioni di impotenza e di vuota sofferenza.

Ciò che caratterizza l’uomo moderno è il disagio psichico che deriva dal non poter narrare la propria esperienza all’altro, non più percepito come fratello ma come nemico interiore. Si tratta di una “solitudine incomunicabile” che alimenta nuovi disagi mentali. Per molti aspetti le richieste di aiuto, che come psicologo e psicoterapeuta ricevo, riguardano, non tanto una sintomatologia clinica, ma quanto una tipologia di tipo esistenziale. Ogni esperienza interiore quanto non può essere riferita, quando non c’è nessuno che ascolta diventa catastrofica e trova via di uscita nell’atteggiamento patologico, criminoso atto ad imporre il proprio disagio. In una parola si difetta nell’analisi della realtà. L’altro non è visto per quello che è ma come segno della propria condizione di malessere. Ma come è noto, a partire delle informazioni dello psicoanalista Freud, sappiamo che la salute mentale deriva dalla capacità di aderire alla realtà (Freud, Principio di realtà). Successivamente, con gli studi della psicologia evolutiva, comprendiamo come lo sviluppo psicologico del bambino è fortemente determinato dalla sua capacità di accettare i limiti e le norme funzionali alla propria crescita posti dal mondo adulto. Ma quando si proiettano sulle giovani menti informazioni, messaggi contraddittori, quando si alimentano assenze genitoriali, disinteresse non si pone limiti alla fantasia del bambino che è costretto ad immedesimarsi in un mondo immaginario perché quello reale (degli adulti) è assente. Sarebbe il caso che ci interrogassimo, nei fenomeni delle giovani menti a riguardo di atti criminosi, dove è e, chi è il contesto di riferimento perché «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare» Marco (9,42). Chi il colpevole? L’adulto o il bambino?

Pasquale Riccardi

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook