
Stavo immaginando quel momento… il momento in cui Gesù è stato trascinato via, picchiato, umiliato, messo in croce. Lì, sotto gli occhi increduli della folla, mentre il cielo si oscurava, mentre il sangue cominciava a coprire la terra… c’era un uomo. Un uomo vero. Non una figura mitologica, non un simbolo astratto. Un uomo, con il cuore spezzato, con il volto straziato, con il respiro affannato. Un uomo che piangeva. Un uomo di dolori. Conoscitore del dolore. Non uno che ne ha sentito parlare… uno che l’ha vissuto.
Non solo i dolori fisici delle frustate e dei chiodi, ma quelli più profondi… quelli dell’anima. Il dolore di essere stato abbandonato. Il dolore di essere stato tradito. Il dolore di sapere che anche i suoi più vicini, i discepoli, quelli che avevano visto i miracoli, udito le sue parole, toccato con mano la gloria… non capivano. Non capivano che stava soffrendo anche per loro. Non capivano che nel suo cuore non c’era solo il peso del peccato… ma anche il peso di una solitudine profonda. Quella solitudine che provi quando ami tanto… ma non vieni compreso. E Lui piangeva. Piangeva come piange un uomo che ha amato, che ha dato tutto, che sa che sta per morire… e che non sarà compreso.
E intorno a Lui… il rumore delle urla, dei chiodi, dei religiosi che tramavano per eliminarlo, dei cuori pieni d’odio che pensavano di servire Dio… uccidendo Dio stesso. Ma dentro… dentro Gesù… c’era silenzio. Un silenzio che urlava. Una sofferenza che nessun grido umano può esprimere. Un dolore che non nasceva solo dalla carne lacerata, ma da un amore così profondo, così puro, così vero… che nessuno poteva vedere. Eppure… stava morendo proprio per quelli che non vedevano.
Isaia l’aveva visto:
“Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori, familiare con la sofferenza… trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo per cui abbiamo pace è caduto su di Lui, e per le sue ferite noi siamo stati guariti.”
(Isaia 53)
Quanto è reale tutto questo. Non è poesia. È la verità. È il centro della nostra fede. E io non posso non chiedermi… come possiamo ancora dubitare? Come possiamo, oggi, chiederci: “Ma Dio mi ama? Ma sono salvato? Ma ho fatto abbastanza?” Come possiamo ancora cercare di aggiungere qualcosa a quel “Tutto è compiuto”? Ma cosa vuoi aggiungere a un Amore così grande, così puro, così eterno? Cosa vuoi aggiungere a un sacrificio che ha distrutto l’inferno, che ha cancellato ogni accusa, che ha preso il nostro posto… per sempre?
Io l’ho visto. Non con gli occhi naturali, ma nello spirito. Anni fa, in un momento profondo di intimità con Lui, mi ha fatto vedere la croce. Ho sentito il dolore. L’ho percepito nel profondo. Ho pianto, pianto come un bambino, perché lì non stavo vedendo una scena religiosa… ma l’Amore che mi ha chiamato per nome. Non lo potrò mai dimenticare. Anche nei momenti più difficili. Anche negli errori. Anche nei vuoti, nelle lotte, nei giorni in cui mi sono sentito lontano… io non ho mai dimenticato quel giorno. Quel Sangue. Quegli occhi pieni di lacrime. Quelle mani inchiodate che ancora mi dicevano: “Io ti amo.” E oggi, mentre scrivo, piango. Perché so che è vero. So che Lui è reale. So che mi ha amato. So che mi ha salvato. E so che tornerà.
Sì, tornerà. Perché lo stesso Gesù che fu inchiodato su quella croce… ritornerà per la sua Sposa. Ritornerà per noi. E regneremo con Lui per sempre. Non perché ce lo siamo meritati. Non perché abbiamo fatto tutto giusto. Ma perché Lui ha detto: “Tutto è compiuto.”
Che amore. Che amore… che non si può spiegare. Che non si può afferrare con la mente, ma solo con il cuore. Un amore che resta, che ti segna, che ti chiama per nome anche quando tu ti sei dimenticato di te stesso. È questo che mi tiene in piedi. È questo che mi fa continuare. È questo che mi ha salvato.
— Marcello Donadio https://www.facebook.com/story.php?story_fbid=2094751304268295&id=100012003373218&mibextid=wwXIfr&rdid=6b2r5VsuPv2bNwVZ#
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