Un Paese cristiano nelle mani dei guerriglieri jihadisti

img-_innerArtFb-_co2_1Sono trascorsi 12 anni nella Repubblica Democratica del Congo, Rdc, dalla fine dell’ultima guerra, ma le provincie dell’est, al confine con Rwanda e Uganda, continuano a essere infestate da bande e gruppi armati.

Negli ultimi mesi a farne le spese sono soprattutto le popolazioni che vivono nell’area attorno alla città di Beni, nel Nord Kivu. Da ottobre decine di villaggi sono stati attaccati, saccheggiati e semidistrutti. I morti tra i civili sono quasi 500, uomini, donne e bambini spesso uccisi all’arma bianca: a bastonate, a colpi di panga (uno strumento da lavoro simile al machete) e di pietre. Centinaia sono anche le persone rapite, inclusi i tre padri assunzionisti sequestrati nell’ottobre del 2012 di cui non si ha più notizia.

L’episodio peggiore nell’ultimo mese risale al 15 luglio: tre i villaggi razziati, 11 le vittime, una settantina le abitazioni incendiate. Responsabile di così tante stragi è uno dei più vecchi movimenti armati attivi nell’est della Rdc: l’Adf-Nalu, acronimo inglese delle Forze Democratiche Alleate-Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda. Nato nel 1995 per lottare contro il presidente ugandese Yoweri Museveni, fin dall’inizio l’Adf-Nalu ha creato le proprie basi non in Uganda, ma oltre confine, nelle regioni montuose della Rdc dove si è ritagliato uno spazio nel lucroso contrabbando di materie prime. L’Adf-Nalu è feroce e spietato come tutti gli altri gruppi armati che nel Congo sfidano l’esercito congolese e i caschi blu della Monusco, la più grande operazione di peacekeeping dell’Onu. A differenziarlo, però, è il fatto di essere un movimento islamista, l’unico nella regione, inserito dagli Stati Uniti nell’elenco delle organizzazioni terroristiche; e vi è motivo di credere che di recente abbia stabilito contatti con al Shabaab, i jihadisti somali legati ad al Qaida. Arriverebbero dalla Somalia, infatti, molte delle sue nuove reclute e una parte delle armi di cui è dotato. Sta di fatto che Adf-Nalu ha da poco cambiato nome. Adesso si fa chiamare Adf-Mdi o semplicemente Mdi: Muslim defense international.

Il pericolo costituito in Rdc da un movimento jihadista, per quanto attivo in un’area circoscritta, non va sottovalutato. Non lo fanno i vescovi congolesi che più volte in questi ultimi mesi hanno chiesto al loro governo azioni concrete contro l’Adf-Mdi: perchè, secondo loro, rappresenta una minaccia non solo per le popolazioni locali, ma per l’intera regione. Chi tenta di minimizzare, affermando che la Rdc è uno Stato cristiano, con solo il 10% di musulmani, che quindi non rischia derive integraliste, non considera la forza acquisita in Africa dai terroristi islamici, l’estensione delle loro reti transnazionali. Grazie ad esse, nella Repubblica Centrafricana, abitata da una piccola minoranza islamica, una coalizione antigovernativa islamista, Seleka, sostenuta da risorse umane e militari esterne, è stata in grado nel 2013 di rovesciare il governo, imporre una dittatura e devastare il paese prima di essere fermata un anno dopo da un contingente militare internazionale.

Altro motivo di allarme, denunciato dai vescovi della Rdc, è la presenza accertata nell’est del Paese dicampi di addestramento al jihad. Nel massiccio del Ruwenzori – dicono – ci sono tre basi chiamate Medina, Canada e Parking Kaza Roho, gestite da persone di diversa nazionalità «che inoculano lo spirito jihadista alle loro reclute addestrandole al terrorismo internazionale». In un documento corredato da fotografie e altro materiale, fatto pervenire all’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre, Acs, da fonti mantenute anonime per motivi di sicurezza, si afferma che i campi dei jihadisti ospitano già oltre 1.500 ragazzini tra i nove e i 15 anni, incluse circa 60 ragazze, fotografate con indosso il burqa, il velo integrale islamico, destinate a diventare mogli di terroristi. «Le prove che ci sono state fornite non lasciano alcun dubbio sulla natura di questi centri», dice Maria Lozano, vicedirettore internazionale della comunicazione di Acs, «siamo molto preoccupati per la sorte di questi ragazzi che sono stati sottratti alla strada con la promessa di un’alternativa alla povertà. Molti sono orfani, altri sono stati affidati ai fondamentalisti dalle famiglie convinte che i figli avrebbero ricevuto un’istruzione in Europa, Medio Oriente o Canada».

L’azione dei jihadisti – secondo Acs – spiega l’aumento dei musulmani in Rdc, passati dall’1 al 10% nel corso degli ultimi anni, e la moltiplicazione dei luoghi di preghiera islamici: nella regione di Medina, ad esempio, dove si trova uno dei campi d’addestramento, 28 delle 44 moschee presenti sono sorte tra il 2005 e il 2012, in zone di scarsissima presenza musulmana. «A maggio i vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu hanno inviato una lettera aperta al presidente Kabila per denunciare l’ascesa del fondamentalismo islamico in una regione finora a maggioranza cristiana. Ma le loro parole», sostiene Maria Lozano, sono rimaste inascoltate». Le fonti di Acs temono che all’improvvisa comparsa dei campi jihadisti possa aver contribuito la missione di peacekeeping Monusco. Ne fanno parte, dicono, dei fondamentalisti pachistani che nel tempo libero fondano scuole di Corano e aiutano a costruire delle moschee.

da: Lanuovabq.it/

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