Una chiesa che prega, una chiesa che ama, una chiesa che da, una chiesa che va

BREVE PROFILO DELLA CHIESA DELLE ORIGINI (ATTI 2:42-47)

“…Madre dei Santi, immagine della città superna; del sangue incorruttibile conservatrice eterna; Tu che, da tanti secoli, soffri, combatti e preghi, che le tue tende spieghi dall’uno all’altro mar; campo di quei che sperano; chiesa del Dio vivente… Su te lo Spirito rinnovator discese, e l’inconsunta fiaccola nella tua destra accese, quando, segnal de’ popoli, ti collocò sul monte, e ne’ tuoi labbri il fonte della parola aprì. Come la luce rapida piove di cosa in cosa, e i colori vari suscita dovunque si riposa; tal risonò molteplice la voce dello Spiro: L’Arabo, il Parto, il Siro, il Suo sermon l’udì…”

Così si esprime il grande poeta cristiano Alessandro Manzoni (1785-1873) nella sua composizione poetica “La Pentecoste”, la quinta dei suoi “Inni Sacri”, composizioni dedicate alle principali feste dell’anno liturgico. Nel suo scritto il Poeta vuole enfatizzare l’azione creatrice e trasformatrice dello Spirito Santo sulla Chiesa, rendendola una comunità coraggiosa sostenuta dalla fede e dalla forza della Parola. Il cap. 2 degli Atti degli Apostoli racconta l’avvenimento della Pentecoste, costituendo l’immediato punto di partenza e l’atto di nascita della Chiesa. I primi versetti (2:1-4) esprimono la modalità con la quale lo Spirito è disceso sui discepoli che erano riuniti nell’alto solaio. (1:13-14) Accorre una folla, la cui meraviglia si traduce in una serie di domande. (2:5:13) Tali domande fungono da introduzione al discorso introduttivo di Pietro (2:14-36), che induce la folla a formulare una ulteriore domanda: “ Che cosa dobbiamo fare? (v.37), a cui segue l’appello di Pietro alla conversione, che conduce all’aggregazione di tremila persone. (v.41) Questa comunità è caratterizzata da una quadruplice azione: l’insegnamento apostolico, la comunione, la frazione del pane e la preghiera. E’ “la carta d’identità” della chiesa. Sono tratti della prima comunità cristiana visti come paradigmi tesi a modellare e a verificare la propria fedeltà al Vangelo: le Chiese non saranno tali se esse ometteranno dalle loro pratiche religiose la quadruplice perseveranza enunciata in2:42 . E’ d’obbligo porsi a questo punto la domanda: cosa significa “essere chiesa”? “Cos’è la chiesa? Tutti gli autori protocristiani usano la parola greca “ekklesia” per indicare quel costituirsi di una comunità che ha inizio dopo la morte e la risurrezione di Gesù. Questa comunità è caratterizzata soprattutto dalla sequela di Gesù: è una libera e responsabile comunione di uomini e donne, di diversa cultura, di diverse razze, di diversa estrazione sociale, che ha risposto positivamente alla chiamata di Gesù, accettandone la sovranità, espressa concretamente nell’amore-agape verso Dio e verso il prossimo e simbolicamente attraverso i riti del battesimo e dell’eucaristia. Sebbene Gesù avesse preparato la costituzione della Chiesa, convocando il gruppo dei dodici, la nascita della Chiesa è sancita con il miracolo della Pentecoste.

Atti 2:42-47 dipinge la Chiesa come una comunità carismatica, ossia una comunità nata per iniziativa divina e non per una pura e religiosa volontà umana. Essa è nutrita, sostenuta, corroborata, guidata dallo Spirito di Dio, che comunica la vita di Cristo e la fede in Lui. Essa vive la tensione tra l’essere immersa nella storia e il trascendere da essa, tra il qui e il non ancora, tra l’essere un soggetto storico e il portare in sé l’impronta del divino. Come abbiamo affermato prima, Atti 2: 42-47 è un sommario che delinea un suggestivo ritratto della prima comunità cristiana. Potremmo definire il testo come “le basi della vita dei credenti”: una chiesa che prega, una chiesa che ama, una chiesa che dà, una chiesa che và. Essa mette in luce un quadruplice aspetto: l’ascolto della Parola per bocca degli Apostoli, la comunione fraterna, la preghiera, la moltiplicazione del numero dei credenti. Analizzando il primo elemento caratterizzante la Chiesa, noi cogliamo un principio saliente per la sua formazione: l’ascolto costante della Parola del Signore e i suoi effetti salutari (gr. ésan proskarteruntes the didakè ton apostolon”) Che cosa ascoltavano i Cristiani della prima ora? Senz’altro la Bibbia ebraica, che diventerà in seguito il Vecchio Testamento, interpretata in chiave cristiana e le parole di Gesù e gli avvenimenti che lo riguardavano, che molto probabilmente confluiranno nei Vangeli canonici e che nei primi anni dell’era cristiana stavano circolando oralmente. L’insegnamento apostolico (didakè) non era altro che la comunicazione di quei principi basilari cristiani che determinano l’essenza della Chiesa. Innanzitutto è una Chiesa che prega. La preghiera cristiana delle origini non è l’attuale noiosa litania che le chiese odierne tributano invano al Signore. La preghiera nasce dall’ascolto della Parola che riscalda il cuore del credente per l’azione dello Spirito di Dio. Non è una religiosa attività umana, ma è il risultato della presenza e dell’azione divina nella Chiesa. Una chiesa che non prega (la preghiera cristiana odierna spesse volte è un soliloquo umano) è una chiesa priva dello Spirito di Dio. Probabilmente i primi cristiani facevano uso e si ispiravano al libro dei Salmi, che è il libro biblico della preghiera per eccellenza e alla preghiera regale di Gesù.

La preghiera cristiana è una dei più rivoluzionari strumenti dell’insegnamento apostolico. Accanto alla preghiera l’insegnamento apostolico pone in risalto l’amore-agape. Una chiesa che non ama è una diabolica parodia della chiesa di Cristo. E’ come un corpo di bello aspetto la cui immagine è riflessa in uno specchio, e, dopo essersi specchiato, và e dimentica quello che veramente è. L’amore-agape è una rivoluzionaria prerogativa della vita della chiesa delle origini. La parola greca che Atti 2: 42-47 usa è “koinonia”. Certamente, l’apprendimento della parola comunica la comunione spirituale nel culto e nella preghiera. Ma la diaconia è anche comunione materiale dei beni. Il lettore o l’ascoltatore attento non può sottintendere il gioioso impegno della prima comunità che pratica l’assistenza vicendevole, la solidarietà verso i bisognosi, che usufruiscono delle ricchezze messe in comune da quei generosi cristiani che spontaneamente rinunciavano alla proprietà privata. Questa messa in comune dei beni materiali scaturiva dall’aver prima condiviso beni maggiori, come la salvezza eterna e la capacità di amare come il Signore ama. Tutto era fatto nella libertà, come risultato dell’azione dello Spirito (cfr. 5:4) Senza che via sia stata una amministrazione centralizzata, a tutti era richiesto una disponibilità d’animo. Ma la comunità che si apre a Cristo condivide con Lui la potenza nella vittoria sul male, segno dell’irrompere dell’azione di Dio nel mondo. Diaconia significa anche condivisione dei segni e prodigi realizzati per mezzo degli Apostoli. I credenti che formavano la prima comunità cristiana erano totalmente consacrati al Signore. Era una comunità che aveva dato tutta se stessa al Signore; ogni membro della chiesa protocristiana offriva se stesso come sacrificio vivente; ciò costituiva un culto spirituale. Lungi dal conformarsi alla mentalità secolare, era dedito a quel processo di trasformazione interiore e di rinnovamento della mente, che lo rendeva abile a distinguere la volontà. di Dio (Rom 12:1-2) Una siffatta comunità non poteva non passare inosservata agli occhi della gente. Il loro messaggio verbale era autorevole come lo era il loro accattivante stile di vita. La gente è presa da timore (Atti 2:43) e mostra profonda simpatia gr. karin) per la chiesa. Sono evidenziati due sentimenti religiosi: il timore riverenziale risultante dalle manifestazioni del divino, che era percepibile non solo nei miracoli, ma anche nella vita comunitaria della chiesa, il vivere nell’armonia, oggetto del desiderio dell’uomo secolare, ma fuori dalle sue possibilità di realizzazione. Una siffatta comunità che vive di fede e di amore-agape, proponendosi come strumento di salvezza, senz’altro incide nel mondo sociale in cui essa vive e opera: questa è la mirabile azione della grazia di Dio, che trasforma i pochi dell’inizio (Atti 2:1) in tremila persone (Atti 2:41) e in un numero non più definibile. (Atti 2:47)

Chi legge oggi il testo di Atti 2:42-47 potrebbe essere attanagliato dal dubbio se ciò fosse vero e si interroga: è stata realizzata veramente un’esperienza di questa totale comunione tra diverse e numerose persone? Una tale domanda può essere legittima, giacché oggi non è registrabile una tale rivoluzionaria esperienza. Forse Luca, l’Autore dell’Evangelo e degli Atti( non dimentichiamo che originariamente i due testi formavano un unico libro in due tomi) ha proposto un ideale senza che sia stato mai realizzato? Egli è testimone o curatore di testimonianze di una storia vissuta o propone una pura riflessione teologica senza alcun aggancio a fatti veramente accaduti? Senz’altro la teologia liberale si esprime in termini ideologici, scartando l’interpretazione del testo come resoconto di avvenimenti realmente accaduti. Noi ci dissociamo da questo modo di pensare il testo di Luca con le categorie del criticismo moderno disfattista e irriverente verso i testi sacri e amiamo accettare il racconto lucano come un resoconto sommario di fatti realmente accaduti appassionatamente vissuti dai cristiani della primissima ora. La Chiesa delle origini ha preso seriamente l’insegnamento di Gesù sull’amore-agape: “ Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, fidando dell’intervento provvidenziale di Dio. La vita della prima comunità è all’insegna di una vita comunitaria carismatica, ossia presenziata e guidata dallo Spirito di Dio. Con i verbi all’imperfetto (erano assidui, stavano insieme, avevano tutto in comune, vendevano, dividevano, prendevano cibo) Luca sottolinea una condotta di vita stabile, continua, permanente, quotidiana. La comunità carismatica delle origini non è e resta un fatto straordinario storicamente conchiuso, essa è il modello valido per tutte le epoche: soltanto lo Spirito può dare vita a una comunità autenticamente cristiana. Ciò che è accaduto a Pentecoste diventa la causa di quanto accadrà sempre, ogni volta che le persone si apriranno al dono dello Spirito. Il giorno di Pentecoste è riconosciuto come il giorno del Signore (Atti2:20), divenendo esistenza quotidiana (2:37). La comunità cristiana vive nello Spirito. Ciò significa:

  1. accoglienza della Parola. La comunità cristiana si richiama al Gesù della storia elevato come Cristo alla destra del Padre, come l’unico Signore e Messia. Questa formula di fede fa risaltare un duplice atteggiamento, l’uno interno e l’altro esterno alla comunità: l’intera vita del credente va confrontata con il mistero di Cristo. Ma la comunità non deve chiudersi in se stessa: essa è invitata a dare gratuitamente ciò che ha ricevuto. Ma il suo annuncio non deve cadere nel genericismo, ma deve possedere linguaggi comunicativi culturalmente validi per evitare che il messaggio è diretto banalmente a tutti, ma non raggiunge nessuno. E’ il continuo confronto con la Parola che viene verificata nella vita che rende legittimo un gruppo di persone che stanno bene assieme come comunità cristiana.
  2. La Parola del Signore è la spada a doppio taglio che smaschera l’uomo come essere peccatore e lo spinge alla compunzione del cuore, a quella compunzione interiore vissuta dagli uditori di Pietro. La Parola del Signore causa un radicale cambiamento di mentalità, un differente modo di vedere la realtà e un differente modo di gerarchizzare i valori.
  3. Il Battesimo. Intimamente legato alla fede, il battesimo rappresenta il momento comunitario. è metafora della conversione, simboleggiando l’opera salvifica di Gesù del morire al peccato e del risuscitare a vita eterna.
  4. Vita aperta al dono dello Spirito. Con la creazione della comunità dei credenti inizia l’ultima parte della storia della salvezza, che durerà fino alla parusia.

Se volessimo analizzare lo stato di salute spirituale delle chiese odierne (mi riferisco alle chiese nate dalla Riforma e dai movimenti revivalistici dell’800), senza dubbio noteremmo una significativa discrepanza tra la spiritualità delle prime chiese cristiane e le odierne chiese. Ciò che balza subito all’occhio è la secolarizzazione delle chiese evangeliche. Esse non stanno vivendo la tensione tra “il qui e il non ancora”, esse sono istituzionalizzate e dove c’è l’interesse per una vita carismatica nelle chiese, essa è vissuta come un autocompiacimento. All’interno delle chiese si registrano lotte intestine per la conquista del potere ecclesiastico, liti, discordie, inimicizie, un edonistico ed egoistico godimento dei beni, una avida corsa all’oro in quelle comunità dove viene predicata la teologia della prosperità, una farisaica insensibilità ai bisogni dei più deboli, forse determinata dalla “sicurezza” che molti credenti nutrono con il fraintendimento della teologia della “Sola Grazia”. Di fatto, oggi non c’è una chiesa che si avvicina per il suo stile di vita a quella delle origini. Perché? Probabilmente, perché i credenti sono saturi di dottrina evangelica, perché è più facile parlare di Gesù che viverlo, è più facile donare il superfluo che donare se stessi come ha fatto la vedova. (Mc 12:41-44) Qual è il significato evangelico di mettere in comune? Non significa impoverirsi per donare al prossimo, ma significa ciò che segue: “Chi ha due tuniche ne faccia parte a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”(Lc 3:11).Condivisione significa rendere partecipe dei propri beni liberamente in Cristo con chi è sprovvisto, non per negligenza e per ozio, ma perché le drammatiche vicissitudini lo hanno depauperato. Ma la liberalità cristiana è possibile solo e soltanto nella libertà in Cristo.

“La Chiesa è carismatica, se è una chiesa che prega, una chiesa che ama, una chiesa che dà, una chiesa che và”.

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com

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