UNA GIORNATA DI RICORDO NAZIONALE DEL GENOCIDIO DELLE POPOLAZIONI INDIGENE DELLA NAMIBIA

tituendo il 28 maggio come Giorno della memoria, per la prima volta nella sua travagliata storia la Namibia ha voluto commemorare ufficialmente il genocidio dei popoli Herero e Nama.

Due popoli autoctoni annientati circa 120 anni fa dall’esercito coloniale tedesco del Secondo Reich. Tra il 1904 e il 1908 in Namibia furono realizzati vari campi di concentramento (in realtà di sterminio) dove vennero segregati decine di migliaia di indigeni namibiani. 

Si calcola (ma probabilmente per difetto ) che vi persero la vita almeno 65mila Herero (l’80%) e 10mila Nama (il 50%). Sistematicamente uccisi, torturati e utilizzati per esperimenti pseudoscientifici (con 40 anni di anticipo sulle analoghe pratiche, al tempo dell’Olocausto, nei confronti di ebrei, “zingari”, disabili e prigionieri sovietici, come ricordava The Namibian).

Nel Paese da tempo si tenevano annualmente manifestazioni, marce e altre iniziative indette da varie organizzazioni. Ma quest’anno è intervenuta la presidente stessa Netumbo Nandi-Ndaitwah (recentemente eletta, prima donna a ricoprire tale carica in Namibia) per decretare che il 28 maggio (il giorno in cui la Germania, sotto la pressione internazionale, aveva chiuso i campi) diventava giorno festivo nazionale. 

Accendendo una lampada nei giardini del Parlamento della capitale Windhoek, non lontano da dove sorgeva l’Alte Feste (Vecchia Fortezza), uno dei famigerati luoghi di detenzione degli indigeni.

Dopo un minuto di silenzio, osservando come ancora oggi la Namibia sia “un vasto paese, ma anche uno dei meno popolati (2,6 milioni nda)”, ha commentato: “Ma cos’altro dovevamo aspettarci visto che all’epoca abbiamo perso un così gran numero di nostri concittadini ?”.

Dietro la celebrazione, anni di complesse ricerche storiche e trattative (ancora in corso) con il paese responsabile dello sterminio.

Gianni Sartori


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