Una medicina utile per la salvezza chiamata perdono

Sgombriamo subito il campo da equivoci, per medicina, nella cultura occidentale il più delle volte intendiamo un preparato farmacologico in grado di curare alcune patologie: “devo prendere le medicine”. E, la così indicata, medicina la si va a comprare all’esterno, in farmacia.

Il perdono, quale atto, intenzionale psicologico e spirituale non è un preparato farmacologico né si può comprare all’esterno ma va acquistato dall’interno che pur non avendo potere di cura, per patologie clinica di evidenzia diagnosi, ha di sicuro un significato, esistenziale e psicologico, come coadiuvante. Influisce maggiormente in quelle patologie relazionali quando tra persone si vivono attriti che lasciano il segno di ferite. Il perdonare ha a che fare con la dimensione del se e dell’altro, corre lungo un asse relazionale: IO-ALTRI; ripercorre l’assunto fondamentale del cristianesimo «ama il prossimo tuo come te stesso». Più volte ho menzionato come Gesù intende un movimento interpersonale e intrapersonale tra noi e gli altri. Un movimento è una energia, ci insegna la fisica, e questa energia va liberata, diversamente rimane inespressa nel nostro corpo.

La scienza psicosomatica ci illustra come sentimenti, emozioni e percezione negative compromettono la salute psicofisica, addirittura, la cultura biblica parla di «carie delle ossa» (Proverbi 14,30).  Ciò che non è espresso rimane impresso e provoca risentimento, disistima e dolore. Ognuno, pertanto, indipendentemente da quello che può accadergli nel proprio cammino è tenuto a dare risposta responsabile.

Grazie a diverse concezioni spirituali, filosofiche e psicologiche orientali e occidentali impariamo che molte persone che vivono di risentimento, di odio, di rancore, di rabbia costante, di tristezza continua sono più vulnerabili ad agenti interni ed esterni. C’è uno stretto rapporto scientifico tra stress e difese immunitarie. Di questi giorni l’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) ha parlato di sperimentazione terapia cellulare CAR-T, tecnica di manipolazione delle cellule del sistema immunitario. La nostra vita, la nostra salute è in relazione stretta, strettissima con il nostro equilibrio interno e viceversa questi risente sulla salute. Il nostro corpo ha una saggezza, è un linguaggio di cui abbiamo perso la lettura. Un tempo un medico di campagna dall’osservazione, palpazione, auscutazione, mediante stetofonendoscopio, diagnosticava e consigliava come ad un raffreddore bisognava opporre un ritiro in casa al caldo, sapeva che il corpo parla di ciò che le parole non riescono a dire. Ogni situazione repressa può trovare le sue parole in un dolore, in una stanchezza, in una disagio, in un organo bersaglio. Un torcicollo può essere espressione di una testa che pesa dai troppo pensieri, un mal di gola che costringe a non parlare può essere espressione di un voler ribellarsi dicendo ciò che si pensa; ginocchia doloranti possono parlare di difficoltà ad essere flessibili ed andare avanti, una forma di diabete, nella storia della persona può essere il grido di una vita troppo amara di felicità, problemi all’apparato gastrointestinale digestivo possono essere la voce della difficoltà di digerire imposisizioni.

Queste ed altre possono essere le situazioni, ma a ben pensarci, ogni situazione, ha a che fare con la relazione. Non reprimere non significa spiattellare all’altro delle crude verità, non reprimere significa anche confrontarsi con l’altro di quello che si prova. Significa anche avere il coraggio di empatizzare con il nemico, con chi si pensa derivi il risentimento represso. Significa aprire il cuore all’altro e in questo movimento dell’aprire che si comprende anche il prossimo.

Dove c’è comprensione c’è consapevolezza, dove c’è consapevolezza c’è perdono. Diretta conseguenza del perdono è la riconciliazione possibile se si ripensa alle esperienze e alle persone delle nostre relazioni in modo diverso, abbandonando ogni diritto al rancore e al vittimismo per riaprire un dialogo. Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21).

Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com

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