Una rosa contro l’aborto. Il progetto che aiuta madri, bambini e perfino i medici

Si chiama pink rose rescue ed ha già salvato tanti bambini. Siamo negli Stati Uniti, dove i volontari pro life, la maggior parte dei quali sono giovani, entrano nelle cliniche di Planned Parenthood ed offrono una rosa alle donne che stanno aspettando per l’aborto. Attaccato alla rosa, un foglietto con vari numeri di assistenza per chi si trova in difficoltà durante la gravidanza.

Dopo aver parlato con le donne, i volontari rimangono nel luogo dell’esecuzione in solidarietà con i loro fratelli e sorelle abbandonati, compiendo un atto di difesa non violento attraverso la loro continua presenza nella cliniche abortive, rimanendo infatti lì per tutto il tempo possibile.

Un atto coraggioso, perché si rischia l’arresto. Una di queste attiviste, Lauren Handy, dopo due settimane di isolamento a causa di un pink rose rescue, è stata rilasciata a metà agosto. Quando le è stato chiesto perché continua a fare ciò che sta facendo, rischiando l’arresto ed il carcere, ha detto:

“Perché i bambini continuano a morire. E spero, con l’aiuto di Dio, che presto non muoiano più. Questo è l’unico motivo”. L’attivista è stata arrestata più di 30 volte per le sue azioni di salvataggio. “Quando organizziamo un pink rose rescue – ha spiegato la Handy-  parliamo con le donne che sono lì e molte, alla fine, decidono di non abortire più. Oggi abbiamo salvato cinque bambini“. “Il salvataggio è il passato, presente e futuro del nostro movimento. È l’unico modo per intervenire direttamente tra l’oppressore e l’oppresso, tra l’assassino ed il bambino. Ed agli atti radicali di violenza bisogna rispondere con atti radicali di amore”.

Il fatto di affrontare un processo e rischiare l’arresto è un modo molto potente per mostrare alle donne quanto sono amate, ed anche per offrire ai bambini quello che potrebbe essere l’unico atto d’amore che riceveranno prima della morte.

Altri volontari, invece, hanno spiegato che quando entrano nelle cliniche non salvano solo i bambini e le madri, ma anche i lavoratori, molti dei quali costretti a comportarsi in un determinato modo per convenienza, ed offrono loro assistenza.

Simile al pink rose rescue è quanto fa l’attivista canadese Mary Wagner, convertitasi dopo aver sentito l’invito di San Giovanni Paolo II a battersi contro aborto ed eutanasia nei luoghi pubblici.  Sfidando le leggi canadesi che non permettono ai pro life di pregare nelle cliniche abortiste, né tantomeno di parlare con le donne, la Wagner entra nelle cliniche ed offre a tutte le donne una rosa rossa ed aiuti concreti per portare avanti la gravidanza.

Ma la cosa non si ferma qui: in carcere (in cui ha passato, complessivamente, quasi sei anni di vita), l’attivista ha convertito tante donne, coinvolgendole nell’apostolato di preghiera per tutte quelle che hanno o che vogliono abortire; altre invece le hanno scritto ringraziandola, perché ispirate dal suo esempio, decidendo di non abortire più.

Il cappellano del carcere ha sottolineato più volte come la sua profonda umiltà ed abbandono in Dio abbiano aiutato molte persone a ritrovare la fede.

È grazie proprio a queste persone, a questi coraggiosi volontari pro life, presenti dappertutto, anche nel nostro Paese, che viene sconfitta la cultura di morte, anche a costo di andare contro il governo e le leggi ingiuste. Perché ogni bambino che nasce (nonostante ciò che ne dicano i fautori dell’eugenetica e delle politiche di decrescita della popolazione) è sempre una vittoria verso tutti coloro che lo hanno voluto morto, a brandelli nella spazzatura, a partire dallo Stato che ne permette l’uccisione.

“Il nostro scopo è quello di ispirare un movimento di giovani che possa continuare a fare ciò che stiamo facendo” ha chiosato la volontaria Lauren Handy. E ci stanno riuscendo. A quando anche in Italia?

https://www.provitaefamiglia.it/blog/una-rosa-contro-laborto-il-progetto-che-aiuta-madri-bambini-e-perfino-i-medici

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