Un omicidio di massa nel cuore degli Stati Uniti: lunedì mattina, Aaron Alexis, 34 anni, veterano della Marina, ha assassinato a freddo 13 persone e ne ha ferite altre 10, all’interno del Naval Yard, il più antico arsenale navale americano, a Washington DC.
All’inizio si temeva un attacco terroristico. Le prime notizie parlavano di un piccolo commando, forse 2 o anche 3 uomini armati. Solo nelle ore successive al massacro si è scoperto che l’attentatore era solo ed è stato ucciso durante lo scontro a fuoco. Infine si è scoperto che non era neppure un vero e proprio “attentatore”, ma un folle. Un uomo già in cura per paranoia e allucinazioni. Ma ancora armato.
La strage commessa da Alexis priva i cronisti di ogni spiegazione facile. Non era un terrorista islamico. Non era neppure islamico: si era convertito da poco, ma al buddismo. E, in ogni caso, non risulta che Alexis avesse un motivo religioso per fare quel che ha fatto. Non ci sono, al momento, rivendicazioni di alcun tipo. Il gesto del folle sembrerebbe frutto più di una malattia mentale che non un atto politico, religioso o ideologico. Lo stragista lavorava in un’azienda hi tech fornitrice di servizi alle forze navali statunitensi. Il suo patriottismo non era mai stato messo in dubbio. Quando era in servizio in Marina, dal 2007 al 2011, si era guadagnato due medaglie. Vicini di casa e parenti lo descrivono come un uomo tranquillo. Se non per quella follia latente che, a un certo punto, è esplosa. Era stato congedato dal servizio dopo otto richiami di cattiva condotta. In realtà era qualcosa di peggio che semplice “indisciplina”. Infine, ma non da ultimo, Aaron Alexis era un nero. E dunque non rispondeva neppure all’identikit del serial killer bianco (e possibilmente anche “di destra”) che di solito viene tracciato dai giornalisti progressisti, soprattutto dopo i precedenti delle stragi nelle scuole.
I precedenti c’erano: l’uomo era stato già fermato due volte, per uso improprio di armi da fuoco. Una prima volta aveva sparato entro il perimetro cittadino. Una seconda, lo aveva fatto dentro le mura domestiche, terrorizzando una vicina di casa che si era vista trapassare il pavimento dal suo proiettile. In tutti e due i casi, l’aveva fatta franca. La seconda volta, quando avrebbe potuto uccidere la vicina, si era giustificato dicendo che il colpo era partito mentre stava pulendo l’arma. La polizia gli aveva creduto. In ogni caso, il futuro stragista, da quel che risulta, non aveva precedenti penali. Almeno fino a lunedì. Quando Aaron Alexis è entrato nel Naval Yard, grazie a un’autorizzazione appena rinnovata, era armato di fucile a pompa, legalmente acquistato nel vicino stato della Virginia. Nel corso della sua azione suicida, ha rubato altre due armi alle vittime: una pistola e un fucile semi-automatico Ar-15.
Visti i precedenti e data l’assenza di ogni plausibile motivazione religiosa, politica, razziale o ideologica, la spiegazione data dai politici della sinistra americana (come la senatrice Dianne Feinstein) e i commentatori progressisti (come David Frum sul The Daily Beast) è solo una: ci sono troppe armi incontrollate in giro per l’America. Dianne Feinstein, in particolare, nella sua prima dichiarazione dopo la strage, ha sottolineato la responsabilità di chi, anche nello stesso Partito Democratico, si è opposto alla nuova legge sul controllo delle armi private. Obama avrebbe voluto introdurre controlli sul passato (“background check”) dei detentori di armi, più regole sulla loro vendita, limiti sulle munizioni e divieti sulla vendita di armi semi-automatiche, come l’Ar-15, già usato recentemente nella strage della scuola Sandy Hook. Vista dall’Italia questa soluzione sembra la più logica e la migliore possibile: non si deve permettere che circolino così tante armi, visto che possono sempre finire nelle mani sbagliate, come quelle di un folle.
Tuttavia, anche questa spiegazione risulta semplicistica alla luce dei fatti di Washington DC. Prima di tutto, la senatrice Feinstein, che vorrebbe introdurre più controlli sullo status mentale e penale dei detentori di armi, dovrebbe spiegare come mai Aaron Alexis abbia passato positivamente il suo “background check”. Non solo ha superato il test, ma ha potuto acquistare legalmente il suo fucile a pompa in Virginia. Anche con l’introduzione delle nuove leggi volute da Obama, avrebbe potuto farlo. Quanto al divieto di acquisto di armi semi-automatiche: Aaron Alexis ne aveva una, nel corso della strage. Ma l’aveva rubata a una delle sue vittime. Più regole sul porto d’armi? La sparatoria è iniziata in una base militare ed è dal 1993 che le armi sono vietate al loro interno. La strage è avvenuta nel District of Columbia, il distretto della capitale, uno dei più proibizionisti d’America. Il caso di Washington DC è “curioso”, se non fosse drammatico. La capitale, infatti, registra uno dei tassi di criminalità più alti d’America, con 17,5 omicidi ogni 100mila abitanti, contro una media nazionale di 4,6. In confronto, gli “amanti di armi” texani, che hanno controlli molto più laschi, registrano, nella città di Austin, un tasso di 3,5 omicidi ogni 100mila abitanti. Dunque, il problema non sono le regole sulle armi. Ma la volontà (o la follia, in questo caso) di chi le usa. E l’incapacità o la mancanza di volontà di capire il pericolo, da parte di chi avrebbe potuto prevenire la tragedia.
Da lanuovabq.it
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