
La seconda elezione di Trump sta generando una rivoluzione copernicana anche tra i social media. A partire da Meta (il colosso che sta a capo di social quali Facebook, Instagram, Whatsapp, Threads e altri). Già nei mesi scorsi, il fondatore Mark Zuckerberg aveva fatto “mea culpa” per le censure effettuate da Facebook su pressione del presidente Usa uscente Joe Biden. Il breve video diffuso nei giorni scorsi da Zuckerberg, tuttavia, è di ben maggiore rilevanza, in quanto illustra quella che, da ora in poi, sarà la social policy di Meta: un nuovo corso, all’insegna della libertà di espressione, sulla scia – tra l’altro – del modus operandi del suo maggiore competitor, ovvero Elon Musk con X.
La censura politica sul gender
Zuckerberg, infatti, afferma di essersi «sbarazzato dei fact checker» e di averli «sostituiti con modalità simili a X», puntualizzando che i «fact checker di Meta sono stati troppo politicamente parziali e hanno distrutto più fiducia di quanta ne abbiano creata». I team di moderazione dei contenuti dell’azienda, dunque, saranno trasferiti dalla California al Texas «dove c’è meno preoccupazione per la parzialità dei nostri team», ha aggiunto Zuckerberg.
Il punto davvero cruciale, tuttavia, è un altro: Zuckerberg ha annunciato l’eliminazione di «un mucchio di restrizioni su argomenti come l’immigrazione e il gender (e l’identità di genere) che sono semplicemente fuori dal discorso dominante». Se questa promessa, al di là degli artifici tecnici, sarà mantenuta, si tratterebbe di una svolta epocale, che spalancherebbe prospettive per un possibile cambiamento antropologico e dei costumi. Nel recente passato, infatti, sono stati innumerevoli i contenuti e le notizie “scomode” penalizzati dagli algoritmi e dai filtri, non solo riguardo al gender ma a tutti gli argomenti attinenti ai principi non negoziabili: aborto, eutanasia, fecondazione artificiale e così via.
Anche Pro Vita censurata dall’algoritmo
Ecco perché Pro Vita & Famiglia accoglie favorevolmente il cambio di passo paventato da Mark Zuckerberg sui propri social, sui quali tra l’altro proprio la onlus ha subìto stigmi, ostracismi e vere proprie censure, che hanno reso difficile la diffusione del suo messaggio. Spesso, infatti, proprio l’algoritmo di Meta ha penalizzato messaggi, post, video, link, addirittura petizioni sui nostri temi.
La svolta, dunque, come detto, potrebbe essere epocale poiché con i suoi 3 miliardi di utenti in tutto il mondo, il solo Facebook (figuriamoci tutti gli altri messi insieme) rappresenta un veicolo formidabile per una comunicazione davvero interattiva e di libertà. Affinché vi sia una vera libertà di espressione, tuttavia, è fondamentale che tale principio sia perorato davvero da tutti, in primis da chi comanda le leve del potere.
Per onore di cronaca, però, c’è da sottolineare come la svolta di Meta, in realtà, non vada interpretata come una sorta di conversione sulla via dia Damasco di Zuckerberg, bensì come un ritorno ad argomenti a favore della libertà di espressione che lui stesso aveva esaltato in un discorso alla Georgetown University nell’ottobre 2019. Resta quindi ancora tutto in ballo e tutto da vedere sulle conseguenze concrete che ci saranno e che, si spera, possano essere davvero quelle ipotizzate dallo stesso fondatore di Meta.
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