
In questi tempi, sembra come se l’apparenza conti più di ogni altra cosa. Ostentare la propria vita cristiana sui social ed enfatizzare all’estremo livello le opere che si fanno, fa credere ad alcuni che è questa la strada da percorrere per sentirsi davvero felici e appagati: dimostrare agli altri intorno di esserci. I social network hanno amplificato all’ennesima potenza questo aspetto, tra selfie, video e foto che ritraggono credenti mentre eseguono opere per il Signore.
Sia chiaro, questo succedeva anche prima che i social influenzassero in modo così importante la nostra vita. Queste piattaforme hanno semplicemente fornito una vetrina ideale, in cui molti possono mostrarsi per quello che vorrebbero essere. Il rischio è che tutto ciò finisca per condizionare fortemente la propria personalità, portando verso la tendenza a non distinguere più tra finzione e realtà, tra umiltà e vanagloria.
Per molti credenti, sembra come se tutto deve apparire perfetto, luminoso, scintillante, un’eterna gara con sé stessi e con i propri “amici-fratelli” virtuali. Una gara a chi mostra di più le proprie opere cristiane che generano solo una competizione estenuante e alimentano l’invidia da parte degli altri.
Molti cercano continuamente approvazione in un like o in un commento positivo, e tanto li basta per ritenere la propria vita spirituale perfetta, quando invece dovrebbero riconoscere che il “like” di Dio è quello più importante.
Tanti credenti si giustificano dicendo che un giorno Gesù ha detto (parafrasando): “La luce non può rimanere nascosta”. Ma la morale di questo insegnamento di Gesù è abbastanza chiara: il bene non può restare nascosto perché altrimenti smetterebbe di essere utile. Ma alcune volte confondiamo questa visibilità del bene con l’ostentazione. Mostrare il bene è cosa diversa dal volerlo ostentare a tutti i costi.
Chi ostenta usa un bene che non è il suo per mettersi in mostra, chi invece mostra un bene fa sempre di tutto affinché egli stesso non diventi di impedimento al bene. Se Gesù in un primo momento ci invita a “mostrare le nostre buone opere”, d’altra parte ci mette in guarda dalla vanagloria che può colpire l’essere umano e ci avverte di “guardarci dal praticarle davanti agli altri, per essere osservati, acclamati e guadagnare una fama estranea”… “perché questo è il premio che ne guadagnano coloro che agiscono in questo modo”.
Erasmo da Rotterdam disse una volta: “Meno talento hanno, più orgoglio, vanità e arroganza mostrano. Ma la stoltezza non cammina mai da sola: trova sempre altri stolti disposti ad applaudirla. Perché in questo mondo, molti preferiscono il rumore delle vuote adulazioni al peso scomodo della verità.”
Dio ci aiuti a comprendere che ogni cosa buona che siamo in grado di fare è solo e soltanto per la Sua gloria e non per un tornaconto personale, perché è Lui che “mette in noi il volere e l’agire”.
Se aspiriamo ai “bravo!” degli uomini, piuttosto che al “bravo!” di Dio, quella sarà la sola ricompensa che ne riceveremo. Chi si innalza sarà abbassato!
Alessio Sibilla
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