
Gesù spezza e moltiplica, noi spezziamo e dividiamo.
Tempo fa ricevetti un messaggio da parte di un fratello che conteneva la prima frase del titolo di questo breve articolo. Da allora, sono tornato molte volte a meditare su queste parole. Penso sia giunto il momento di condividere qualche pensiero in merito.
Iniziamo con l’episodio dal quale prendiamo le mosse. Si tratta della moltiplicazione dei pani e dei pesci[1]. Episodio nel quale Gesù compie un grande miracolo[2].
Al netto di tutte le predicazioni che ciascuna e ciascuno di noi potrà mai sentire sull’episodio, c’è un particolare su cui vorrei spendere qualche parola: la differenza di attitudine tra Gesù e i discepoli – e quindi noi[3].
L’intento di Gesù è quello di moltiplicare i pochi pani e pesci messi a Sua disposizione. Mentre i discepoli parlano di dividere i pani e i pesci. Infatti, Filippo alla domanda di Gesù risponde -anche giustamente- in questa maniera: “Duecento denari di pani non bastano perché ciascuno ne riceva un pezzetto”. Ossia, dovremmo comprare tantissimo pane per dividerlo in migliaia di pezzi, per darne un po’ a ciascuno.
Gesù moltiplica, noi dividiamo.
Ora, è fin troppo facile stare a giudicare i discepoli[4], ma non è questo l’intento dello scritto.
Facciamo un salto di circa due millenni e veniamo a noi. Commettiamo ancora lo stesso errore? A mio avviso sì. Ma con almeno un’aggravante. Il nostro spesse volte non è un errore, è un atteggiamento.
Noi siamo più portati alla divisione che alla moltiplicazione. Lo si vede da tante piccole cose, che sommate non diventano più tanto piccole.
Noi siamo quelli che dividono le chiese. È buono che si aprano luoghi di culto in posti nuovi delle città, non penso sia buono che la nascita di tali opere abbia come genesi delle divisioni[5].
Noi siamo quelli che dividono le risorse da investire nel Regno di Dio. Non solo quelle economiche. Non moltiplichiamo la conoscenza biblica[6], dividiamo gli insegnamenti e le scuole bibliche, e lo facciamo all’interno di ogni comunità mediamente grande. Effettivamente c’è una cosa che moltiplichiamo: gli insegnanti. Ma più per necessità che per altro.
Noi siamo quelli che dividono le risorse da investire nel Regno di Dio. Anche quelle economiche. Mai come negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione di missioni/associazioni, quasi tutte gestite dalle chiese che le hanno create[7]. Ed è innegabile che servano fondi per poter compiere i progetti che la missione stessa si è prefissata. Che poi la missione faccia la stessa cosa che fanno altri, magari nei luoghi in cui già altri operano è poco rilevante. D’altronde, noi dividiamo…non moltiplichiamo.
Ci sono dei rischi nella divisione, e sono abbastanza importanti. Eppure, pare che non riusciamo a vederli. Come se ci fosse qualcosa che offuscasse la nostra vista.
Il primo rischio è prettamente economico[8]. Una continua divisione necessiterà sempre maggiori risorse. Di tempo, di denaro, di persone e di talenti. E se le risorse finiranno prima di aver raggiunto gli obiettivi rischieremo di dimostrarci persone poco avvedute [9].
Potremmo trovarci di fronte ad un altro rischio, che riguarda l’autarchia. Se dobbiamo sostenere qualcosa di nostro, qualcosa creato da noi o dalla nostra chiesa allora non possiamo aprirci a quello che gli altri fanno. Quindi, non collaboreremo con altri. Saremo autonomi, o settari.
Un altro rischio riguarda coloro che vorremmo aiutare. Quando interrompiamo un’opera d’aiuto, qualunque essa sia, l’impatto maggiore ricadrà su coloro che avevano beneficiato dell’opera stessa[10].
Altri rischi si potrebbero aggiungere a quelli già elencati. È facile, effettivamente, elencare cose negative. Quello di cui sono quasi del tutto certo è che, nella maggior parte dei casi in cui compiamo delle divisioni lo facciamo anche in buona fede. Con tutte le buone intenzioni del caso.
E se provassimo a vivere una prospettiva diversa?
Moltiplicare potrebbe significare, ad esempio, mettere a disposizione di chi già ha creato qualcosa i nostri talenti e risorse, per raggiungere obiettivi più grandi, o fare ancora meglio di quanto già fatto.
Possiamo applicare il concetto a tutti gli esempi elencati in precedenza: missioni, chiese, stazioni evangelistiche, scuole e centri di formazione biblica.
È giunto il momento di tornare al brano del vangelo per notare un altro particolare di non poco conto. È Gesù che spezzando il pane e i pesci, li moltiplica. I discepoli si limitano a distribuirli [11]. Giovanni è l’unico evangelista che nel racconto del brano comunica che Gesù distribuì i pani e i pesci, mentre i sinottici scrivono che Gesù spezzò i pani e i pesci. Gesù è l’unico che, anche nello spezzare[12], riesce a moltiplicare.
Che grande differenza tra noi e il Maestro.
Allora, cosa possiamo fare? Possiamo portare a Cristo quello che abbiamo, per farlo da lui moltiplicare. Possiamo evitare di dividere e possiamo aiutare nella distribuzione di ciò che Egli ha moltiplicato. Questo passo, all’apparenza semplice, nasconde un pericolo; almeno per il nostro ego: perdere in quale modo il controllo e il possesso di quello che reputiamo nostro.
Saremo abbastanza coraggiosi da farci rimettere gentilmente al nostro posto dall’Unico che è in grado di moltiplicare veramente?
[1] Giovanni 6:1-15 e tutti i resti paralleli indicati nelle note delle Bibbie. Il testo di riferimento scelto è utile per l’economia dell’articolo.
[2] Pare pleonastico aggiungere l’aggettivo grande in riferimento al miracolo di Gesù, però moltiplicare del pane per migliaia di persone effettivamente è qualcosa di grande. Se non altro, in termini numerici.
[3] I discepoli rappresentano bene anche noi cristiani contemporanei del 2025.
[4] Cosa che facciamo spesso, perché noi già sappiamo come si concludono le storie bibliche.
[5] Non è mia intenzione analizzare tutti i motivi per cui esistono divisioni, o perché le comunità si dividono. Dovremmo però essere intimamente onesti con Dio, con noi stessi, con la fratellanza e con coloro a cui dovremmo predicare il Vangelo. Certo, ci sono persone che sono giunte a Cristo anche in queste circostanze, ma basta questo per estirpare il problema?
[6] Né la condividiamo. Mi pare che siano davvero pochi gli insegnanti che vengano prestati da un istituto biblico ad un altro. O che si trovino ad insegnare in più istituti. Specialmente se tali istituti appartengano, in qualche modo, a chiese o denominazioni.
[7] Critichiamo la burocrazia italiana, anche quella del cosiddetto terzo settore, ma pare che non sia così difficile creare un’associazione.
[8] Nel senso più ampio del termine. Non si tratta solo di soldi, per intenderci.
[9] Luca 14:28-29
[10] E qui penso a quei progetti che rischiano di essere quantomeno paternalistici, perché non vedono il coinvolgimento in prima persona dei beneficiari, a tutti i livelli dei progetti. Persino nelle scelte da prendere in loro favore. Essere motivati dalla Chiesa perseguitata -uno dei valori fondanti di Porte Aperte – significa, tra le altre cose, chiedere ai perseguitati cosa e come serve loro e coinvolgerli nell’esecuzione dei progetti.
[11] Anche nei due famosi casi descritti in I Re 17:14-16 e II Re 4:1-7 pare che i profeti si limitino a profetizzare quanto Dio avrebbe compiuto di miracoloso per aiutare le due donne del racconto. Non si evince, ad ogni modo, un loro diretto intervento.
[12] Nel testo originale viene utilizzato lo stesso verbo, tradotto in italiano con spezzare, anche in riferimento ai racconti dell’ultima cena e della cena del Risorto con i discepoli ad Emmaus.
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